17. Stomaco

7K 477 126
                                    

Trovavo la compagnia di Hebe sempre più piacevole. È vero, mi insultava ogni due per quattro, ma sapevo che non lo diceva con cattiveria. Presto presi il coraggio di replicare, ma lei non mi strozzò come avevo immaginato. «Azura?» sentii qualcuno chiamarmi.
Mi voglia per incontrare Beth. I suoi capelli tinti erano raccolti disordinatamente in una coda, cosa assolutamente non da lei e per una volta in vita sua non aveva del rossetto sulle labbra. «Beth» sussurrai. «Posso parlarti un momento?» chiese guardando di sottecchi Hebe accanto a me. «Certo, me ne vado» affermò questa con noncuranza. «Ci vediamo in classe» mi salutò. «Dimmi Beth» dissi gentilmente «Senti, tutte quelle cose orribili che dicono su di te, non ho aiutato ad alimentarle, okay? Ha fatto tutto Daia» mi disse. Inarcai un sopracciglio «È che... Azura eri l'unica persona che mi faceva sopportare Daia... E... Non riesco a farcela da sola.» mi disse. «Non so che dirti» ammisi a disagio. «Se provi a parlarle penso che potrebbe chiudere un occhio. Sono sicura che le manchi pure tu.» mi disse avvicinandosi «Se le mancassi non mi avrebbe aizzato contro l'intera scuola. Mi credono tutti una demente lesbica, te ne rendi conto vero?» le dissi alzando la voce. «Non hai letto i commenti che mi hanno lasciato sull'immagine profilo di Facebook?» continuai imperterrita, senza darle la soddisfazione che tutto ciò mi stava facendo soffrire molto. «Azura credi sia meglio stare con quella là? Da quanto tempo non posti una foto? Ti vergogni pure tu di stare con lei!» sbottò Beth «Dio! Mi vergogno di essere stata tua amica per tanto tempo!» replicai afferrando la borsa, pronta ad andare in classe «Aspetta Azura!» mi richiamò. Mi voltai in attesa. «Io tengo veramente alla nostra amicizia. Anche a Jack e Tom manchi...» disse ancora. Sospirai «Sono ancora disposta ad uscire con voi, ma non mi chiedete di leccare i piedi ancora a Daia, l'ho fatto per troppo tempo.» avanzai. Poi me ne andai definitivamente.

«Fra un po' ci sono le vacanze invernali» annunciai entusiasta a pranzo. «Sì, ma prima ci sono gli esami di fine semestre» replicò Hebe studiando i suoi appunti mente addentava un panino. «Non rovinare tutto» la ripresi imboccando una forchettata di insalata «Andremo in montagna» disse all'improvviso «Vieni anche tu?» chiese «Cosa? Chi? Quando? Dove?» chiesi a raffica «Xavier ha una casa a Blea Rigg, ci ospiterebbe tutti volentieri» «E dov'è?» chiesi «E che ne so? Mica guido io» sbuffò addentando di nuovo il panino. Da lei non avrei avuto una descrizione più dettagliata. «E quando partirete?» chiesi «Appena iniziano le vacanze, passeremo lì anche l'ultimo dell'anno. Ci stai? Purtroppo verrebbe anche Lance, mia madre non vuole che lo lasci a Londra da solo, poverino» afferma la ragazza con sarcasmo. «Mi avete nominato?» ci raggiunge l'interpellato sedendosi affianco a me e spingendomi di lato per farsi spazio sulla panca. «Che ci fai qui?» lo chiama immediatamente Hebe. «Mi siedo e mangio» replicò lui sapendo benissimo che la ragazza intendeva tutt'altro. Hebe si limitò a sbuffare. Evidentemente non aveva voglia di attirare l'attenzione per qualcosa di così frivolo. «Quindi vieni anche tu in montagna, eh?» fece Lance. «Hebe ti ha detto che dormiremo in un castello?» «Cosa?!» esclamai incredula «La famiglia di Xavier è piena di grana e aveva acquistato quella proprietà.» Ero basita. Poi Lance scoppiò a ridere «Ci sei cascata!» esclamò il ragazzo. Gli diedi uno schiaffo dietro la nuca «Idiota!» esclamai, ma poi mi misi a ridere anche io. «Comunque è vero che sono straricchi» mi disse Hebe. «Non è un castello ma è uno chalet niente male» mi informò la ragazza. «E poi non credo che a Blea Rigg ci siano castelli» continuò Lance soprappensiero. «Devo comunque chiedere ai miei...» mormorai ma comunque eccitata all'idea.
Daia aveva organizzato tempo fa una vacanza simile al suo cottage in montagna. Ma era stato stressante. Aveva fatto la regina tutto il tempo e nessuno si era goduto il soggiorno. Poi ho saputo che la sua famiglia era stata costretta a venderla per via di una crisi economica. Daia non ce ne aveva mai parlato e nemmeno accennato. Ha sempre preferito continuare a fare la tiranna invece di avere un po' di conforto dagli amici.

Di ritorno a casa informai immediatamente mia madre e in via del tutto eccezionale, anche mio padre.
«Sembri molto entusiasta» mi disse Arn «Lo sono» gongolai «Molto più dell'ultima volta» precisò Arn «Direi» commentai lasciando intendere che ero felice di non avere più Daia fra i piedi. «Ace non è in casa?» chiesi notando uno strano silenzio «No, è uscito con i suoi amici» Rabbrividii. Gli amici di Ace consistevano per la maggior parte da giocatori di Football. E quando si parla di football i miei pensieri andavano inevitabilmente a Jason Forster. Lui e Ace non erano grandi amici ma andavano d'accordo. Ricordo ancora il periodo in cui lo andavo sempre a vedere giocare durante gli allenamenti, sopportando freddo, caldo e noia. Avevo messo Jason su un piedistallo così alto che quando finalmente l'ho avuto vicino, mi sono resa conto che l'avevo sopravvalutato e miticizzato troppo.
Controllai l'orologio e sbuffai. Era sabato sera ed era molto tempo che non uscivo a divertirmi il sabato sera. I miei fine settimana erano sempre state caratterizzate da discoteche, pub e uscite notturne alla ricerca di alcool e sesso. Era il mio personale modo di annullarmi e di non sentire più nulla. Un rifugio di intontimento e beatitudine. Anche se la domenica mattina dovevo subire gli effetti della sbornia non me n'ero mai pentita. Seguivo Beth e Daia ovunque e dopo essermi appartata in un lurido bagno con uno sconosciuto scontrato quella sera, tornavo da loro e continuavo a bere. Ripensandoci era proprio un comportamento idiota e lo facevo solamente per piacere agli altri. Però sentivo la mancanza di quei balli scatenati e della musica spacca timpani. Non me li ero mai goduti appieno per via del dovere di scopare, ma se ci fossi andata in quel momento mi sarei solamente divertita. Hebe non era il genere di ragazza da discoteca e non avevo nemmeno osato chiederle di accompagnarmici.
«Arn?» chiamai mio fratello che era immerso nella lettura sulla poltrona di papà. «Mmm?» chiese «Ma se io e te andassimo in discoteca stasera?» gli proposi. Lui alzò appena lo sguardo «Lo sai che ti voglio bene, Zhur. Ma non mi puoi chiedere una cosa impossibile.» mi disse facendo un mezzo sorriso di scuse. «Beh, tentar non nuoce» dissi facendo un'alzata di spalle. Presi il telefono e inviai la stessa richiesta a Hebe. Avevo troppa voglia di andarci.

Insicura (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora