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Sonia

Il pomeriggio successivo arrivò presto, portando con sé discussioni e litigi. Mi toccó parlare di nuovo del solito argomento con i miei genitori malgrado il mio desiderio di farlo fosse pari a zero. Il discorso, secondo mio padre lasciato in sospeso, doveva essere portato a termine, il che implicava chiaramente che le sue intenzioni fossero quelle di farmi un ulteriore lavaggio del cervello per indurmi ad acconsentire alla sua richiesta di lasciare il paese.
Avrei preferito morire piuttosto che subire l'umiliazione di farmelo domandare di nuovo e dare la stessa, medesima risposta.

"Allora, ti sei convinta a partire?" mi chiese nell'immediato mio padre, entrando nella mia stanza senza alcun tipo di preavviso. La sua figura, sviluppata in verticale quanto in orizzontale per via della robustezza della sua corporatura, comparve irrompendo in una situazione di relativa quiete. Avevo lasciato la porta aperta pensando che mai avrebbe avuto la sfacciataggine di venirmi a cercare in modo così brusco e invadente.

"Ti ho già detto come la penso" mi voltai per rispondergli. Poi mi misi composta sul letto sul quale, fino a poco prima, mi stavo rilassando in posizione prona, con i polpacci in movimento nell'aere.
"Non intendo muovermi di qui" chiarii. Trattenendo un sospiro, mi si avvicinò lentamente, sedendosi sul letto accanto a me. Mi scostai, diffidente.

"Sonia, non è come pensi tu. È un posto bello, ti troverai benissimo. Ne siano più che certi. Poi cambiare aria ti farà bene". Solite frasi programmate come da copione.
"Cambiare aria? Voi non mi avete proposto di andare a fare una vacanza. Mi avete chiesto di andarci a vivere" feci notare.
"Sì, ma torneremo in Italia tutte le volte che vorrai, passeremo qua tutti e tre i mesi estivi e le due settimane di vacanze natalizie" provó a spiegare, ma lo interruppi malamente.
"Papà, ho detto no" scandii bene le sillabe.
"Sonia, ascoltami. Io e tua madre abbiamo deciso così" puntualizzó. Esterrefatta, spalancai la bocca. Ero scioccata dalle parole che aveva appena pronunciato.
"Ma quindi ieri è stata tutta una presa in giro, quando mi chiedeste la mia opinione! A voi non importa niente di me, allora" dissi, scuotendo il capo.
"Non è così. Volevamo sapere cosa pensassi della nostra decisione".
"Decisione? Voi mi avete soltanto proposto di andare a vivere in Polonia, non mi avete parlato di una cosa ormai programmata".
"Non volevamo farti preoccupare".
Quale ipocrisia.
"Ah, e quindi lo sono venuta a sapere solo ora? Bene. E altrimenti quando lo avrei saputo, una volta saliti sull'aereo?" urlai, arrabbiata.
"Sonia, non essere scontrosa, per favore". Sentii la porta della mia stanza cigolare. Mia madre comparve sull'uscio della mia camera con la mano saldamente appoggiata sulla maniglia della porta, abbassata.

Trattenni lacrime di tristezza, di rabbia, di delusione. Aspettavo solo che mio padre se ne andasse per esplodere in un pianto fragoroso.
"Quindi è deciso: andremo via" cercai di capire se fosse definitivo.
"Sì" disse, facendo seguire l'affermazione da un sospiro. Lo guardai, con gli occhi già lucidi e pronti a versare lacrime.
"Perché? Perché? ".
"Per motivi di lavoro. Non c'è altra scelta. E tu verrai con noi".
"E non c'è nulla che io possa fare per farvi cambiare idea? ".
"No, mi dispiace. Anche se a te non attira l'idea di trasferirti, è una cosa che abbiamo deciso già da qualche mese".
"E non me ne avete mai parlato? ".
"No. Non ce n'è stata l'occasione" disse mia madre, che fino a quel momento non era intervenuta. Mi voltai a guardarla, piena di odio.
"Bene. Grazie. Vi ringrazio" dissi guardando entrambi. Mio padre si alzò dal letto, lanciando un'occhiata a mia madre per tentare di farla rimanere in silenzio.

Ormai senza piú sapere cosa dire, uscirono prima una, poi l'altro dalla mia camera, lasciandomi libera di pensare ciò che avrei voluto dire loro, ma che non avevo avuto il coraggio di esternare. Erano solo parolacce.

Daniel

Impaziente al solo pensiero di rivedere Sonia nel giro di poche ore, verso le due chiamai la mia ragazza. Volevo accertarmi se alla fine quel pomeriggio sarebbe venuta a trovarmi, come il giorno prima mi aveva promesso. Ultimamente la sua bocca prometteva cose che poi non faceva.
Presi in mano il cellulare che avevo posato sul davanzale della cucina e composi il suo numero, digitandone rapidamente le cifre con i polpastrelli, coperti da una lieve patina di sudore. Le temperature in quella giornata di luglio erano in aumento, dopo il diluvio del giorno precedente.
Appoggiai il telefono in prossimità dell'orecchio e chiusi gli occhi, attendendo un istante che gli squilli partissero, ritmici e acuti.

Il telefono di Sonia era acceso.
Attesi il susseguirsi di ben sette squilli, ma alla fine non mi rispose.
"Che palle" imprecai, lasciando cadere il telefono sul divano. Poi, scompigliandomi i capelli, diressi i miei passi altrove, lontano dal mio cellulare che, appoggiato sottosopra, ricevette una notifica di aggiornamento.

"Vanesa!" chiamai a gran voce mia sorella che in quel momento si trovava in salotto a guardare la televisione. Era annoiata, ma la capivo: non sarebbe potuta uscire fino all'arrivo dal lavoro di nostra madre. La responsabilitá delle sue uscite erano solo dei nostri genitori.
"Dimmi, Dado". Dado era il soprannome che mi fu dato da lei in persona quando da piccola, a soli due anni, iniziò di sua spontanea volontà a chiamarmi così. E da quel momento, io per lei ero sempre stato Dado. Tranne quando era arrabbiata con il sottoscritto. Per cui, in quei momenti, ero Daniel.
"Prova a chiamare Sonia. A me non risponde. Forse con te lo farà" urlai dal salotto per farmi sentire.
"Puoi starne certo. Io e lei siamo migliori amiche, perché non dovrebbe farlo?" mi punzecchiò.
"Perché, io e lei cosa siamo? Nemici? No. Oltretutto è anche la mia fidanzata". Non sapevo perché le avessi dato corda. Certe volte mi sembrava di tornare alla sua età, nel dare retta alle stupidaggini che diceva. E ovviamente, conoscendo il lato testardo del carattere di mia sorella, io non avrei potuto avere l'ultima parola.

"Forse vuole lasciarti" disse, raggiungendomi saltellante. A quella provocazione non risposi, lasciai correre, ma mi limitai ad alzare gli occhi al cielo.
"Su, forza. Obbedisci" le dissi, spingendola appena, e sforzandomi di arrendermi alla sua faccia tosta.

"Uff, nemmeno a me risponde..." disse abbattuta dopo qualche decina di secondo, chiudendo la chiamata avviata poco prima.
"Strano, le due amichette del cuore in crisi?" sentenziai, a braccia conserte.
"Cosa stai dicendo? Di sicuro è occupata. Per questo non risponde a nessuno dei due" asserì lei, sulla difensiva.
Poco dopo sentii il mio telefono suonare, a qualche metro da me. Feci frettolosamente una boccaccia a Vanesa, la quale sbattè un piede sul pavimento, stringendo i pugni. Avevo vinto.

Corsi verso il salotto, luogo dove avevo riposto il mio telefono poco prima. Era il posto dove ero solito lasciarlo sempre in carica per cui, quando non lo trovavo in tasca o in camera mia, sapevo fosse là.
Lo presi in mano e trascinai da sinistra verso destra il dito sullo schermo per rispondere.
"Pronto?" pronunciai ad alta voce, trattenendo un sorriso che stava nascendo spontaneamente sulle mie labbra.
"Ciao, Daniel, sono Sonia". Risi a quella dichiarazione.
"Sonia? Davvero? Non credevo" scherzai.
"Guarda che lo so, ho il tuo numero salvato da almeno un anno" esclamai. A quella battuta, stranamente, non lasció trapelare nemmeno un po' di gioia.
"Scusa se poco fa non ti ho risposto. Stavo facendo una cosa" si espose con serietà.
"Non fa nulla. Senti, oggi ti va di vederci?".
"Mh... non so se posso" confessó con un fil di voce, quasi col desiderio di non farsi udire.
"Ma come, ieri mi avevi detto che saresti pass...". Venni interrotto.
"Va bene, va bene. Vengo tra un'ora circa. Okay?". Mi venne spontaneo sorridere, soddisfatto di essere riuscito a convincerla.
"Perfetto! Grazie. Ci vediamo tra poco, allora".
"Sì. Ciao".
"Ciao, amore". Aspettai fosse lei a chiudere e lo fece subito, senza darmi nemmeno il tempo di pensare a quanto ci avrebbe messo.
"Che strano..." pensai, senza dare troppo peso al suo comportamento insolito.

"Ha, ha, ha! Visto? Ha richiamato me!" dissi poi a mia sorella una volta terminata la chiamata, facendole un buffetto sulla spalla.
Lei incrociò le braccia, offesa, girando la faccia dalla parte opposta rispetto a dove mi trovavo io.
"Ho una bella notizia per entrambi, però".
"E sarebbe?" chiese incuriosita.
"Ci verrà a trovare tra un'oretta. Sei contenta?" domandai.
"Si, tantissimo!" esclamò.
"Preparati, di sicuro verrà anche prima. Lei è sempre in anticipo di qualche minuto".
"Prepararmi? Ma io sono sempre bella" osò vantarsi lei.
"Non intendevo truccarti o metterti un vestito. Ma per favore, almeno cambiati quella maglia sporca di cioccolato!" esclamai. Vanesa annuì, e volò a prendere una maglietta pulita dall'armadio di camera sua. Intanto, mi diressi verso la cucina, dove avremmo preparato insieme qualcosa da mangiare in attesa che Sonia ci raggiungesse.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now