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Daniel

Il giorno successivo fu un lunedì. Dovetti ricominciare la scuola, ma la cosa bella fu che per la prima volta avrei avuto una piacevole sorpresa ad attendermi: i ruoli miei e delle mie amiche pettegole si sarebbero invertiti. Ero io quello che avrebbe avuto delle novità da raccontare ad Agata e a Melissa. Il soggetto del pettegolezzo sarebbe stato di certo di loro interesse.

"Ho delle news sul presunto bad-boy-super-figo" esordii, apparendo all'improvviso davanti ai loro volti, dopo averle cercate per l'intera scuola. A zonzo per i vari piani, le avevo beccate davanti ai distributori, da noi definite discariche, intente a prendere una salutare merenda: cocacola, pizze e panini farciti con fritture varie e salse.

"Come, scusa?" mi domandarono voltandosi verso di me e mostrando subito il loro interesse verso l'argomento.
"Sì. Volete sapere le ultime?" dissi, prendendo a braccetto entrambe, scherzosamente. Finii per ricevere una gomitata da Melissa, la quale fino a poco prima era stata occupata a caricare la chiavetta. I suoi occhi, irradiati da lunghe ciglia truccate da una dose massiccia di mascara, guardarono verso l'alto, mentre le sue labbra di un rosso acceso si separarono appena. Pareva piuttosto scocciata. Agata, invece, si limitò a sgranare gli occhi piccoli e azzurri.

"Finiscila di fare il galletto, Daniel" mi disse Melissa.
"Il galletto? Io? Ti ricordo che sono felicemente fidanzato. E se volessi una ragazza non cercherei sicuramente una come te"dissi, sfacciatamente.
Io e Mel eravamo molto amici, ci piaceva scherzare. A ogni commento che riceveva si alterava e doveva a tutti i costi contestare per avere l'ultima parola. Ma non l'avrei definita permalosa.

"Oh, a proposito. Come sta Sonia? Non ce ne hai più parlato" mi domandó Agata. Soltanto in quel momento mi resi conto di quanto poco avessi pensato a lei, in quelle settimane. O forse mesi. Avevo perso la cognizione del tempo... Sì, erano già passati dei mesi.
"Oh. Uhm, bene" risposi, io stesso poco convinto. Avevano toccato un tato davvero dolente.
"Meno male. Sono contenta che vi sentiate". Lucrezia, accanto alle amiche, sorrise.
"Siete un bellissimo esempio di come la distanza non possa separare una coppia, se innamorata come voi" aggiunse poi. Avvertii una scossa percorrermi la colonna vertebrale, la gola farsi secca. Fu un' umiliazione sentire quelle parole, mi fecero sentire uno schifo. Non mi ero minimamente preoccupato di cercarla. Poi, con l'inizio della danza, non ci avevo più pensato. La danza non era di certo una scusa. Però mi portava via un sacco di tempo, tra le lezioni due volte a settimana, l'allenamento nella palestra sotto casa con Tommaso la domenica e quelli a casa il resto dei giorni.

"A cosa pensi, Dane?" mi sentii chiamare da Melissa.
Dane. Soltanto Sonia mi chiamava così. Rabbrividii e cacciai dentro le lacrime che si erano formate negli occhi al sentire quel soprannome.
"Nulla. A nulla". Abbassai la testa per evitare che i miei occhi venissero scrutati dai loro.

"Allora? Cos'è che dovevi dirci riguardo al ragazzo misterioso?" m'invitò a parlare Agata.Fortunatamente il discorso era stato cambiato.
"Mh? Ah, sì. In realtà era uno scherzo" mentii. La realtá era che non avevo voglia di parlare di lui, in quel momento. Volevo solamente dedicare il mio pensiero a Sonia in modo da recuperare un po' del tempo perduto dietro ad altre cose. A lei ne avevo dedicato così poco...

A fine giornata arrivai a casa con un pessimo umore e il cuore a pezzi. In quel momento eccome se pensai a Sonia, con il rammarico di non averlo fatto fino ad allora. Chissà quando la avrei sentita di nuovo. Oppure rivista. Forse avrei dovuto aspettare Natale anche solo per poterle dire un ciao. E chissà se lei non sarebbe stata arrabbiata con me. Anzi, sì. Di sicuro non avrebbe nemmeno voluto parlarmi. Mi ero comportato malissimo, come avrei potuto biasimarla? Ero io, il primo a vergognarmi di me stesso.

Magari mi aveva anche dimenticato.
Forse era anche fidanzata con un ragazzo del posto. Sicuramente ci avrebbe guadagnato: avrebbe potuto averlo sempre al suo fianco e certamente non si sarebbe dimenticata di lei come avevo fatto io. Ma come potevo fare per dimostrare che a lei ci tenevo?
Di certo non comprandole una scatola di cioccolatini, o un pupazzo a forma di cuore con scritto "ti amo". Eravamo persone vere, non i protagonisti di un film a cui andava tutto bene, qualsiasi cosa accadeva.
Dovevo pensare, e in fretta.

Mi buttai sul letto, in camera mia. Ero solo, in quel momento. I miei lavoravano e mia sorella sarebbe arrivata un'ora dopo. Avevo poco tempo per riflettere. Nel frattempo, cuffie nelle orecchie, feci partire una canzone lenta e triste. Volevo mantenere quello stato di depressione che stava invadendo la mia mente in quelle ore.

Quella canzone mi faceva pensare. Il testo esprimeva ciò che ci legava, nonostante la distanza. Anche se, non potevo negarlo, sarebbe stato bello tornare indietro e avere la vita che avevamo prima.
Iniziai a sentire gli occhi pizzicare e cosí strinsi, tra le dita delle mani, la federa del cuscino.
Mi resi conto che senza di lei non sarei stato granchè. La maggior parte delle esperienze più belle della mia vita le avevo condivise con lei. E il solo pensare che forse, a sua ragione, non avrebbe più voluto far parte della mia vita, mi distruggeva.
Lasciai che le lacrime bagnassero le mie guance, fino a espandersi sulla federa, formando chiazze più scure.
Chissà se era viva. Non sapevo più niente di lei. Magari si era trasferita ancora o forse non sarebbe più venuta a trovarmi. Forse si era scordata di me, come io avevo fatto con lei fino a quel momento, scordandomi persino che fosse il suo compleanno.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now