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Daniel

Domenica 6 aprile. Sonia sarebbe dovuta arrivare in giornata. Per tutto il giorno non feci altro che pensare a lei, non riuscivo a concentrarmi su altro per più di un'ora Mi mancava sempre di più. Ogni volta che doveva ripartire, per me era uno strazio. Pensavo a quando l'avrei rivista la volta successiva. Ma per fortuna, dopo Pasqua, ci sarebbe stata l'estate, e a quel punto saremmo rimasti per oltre due mesi. Non potevo lamentarmi. Oltretutto quell'anno le vacanze di Pasqua sarebbero durate tanto, per dieci giorni.

Avevo pensato già ad una scaletta di attività da fare assieme. Il clima era diventato piacevole ed avremmo potuto fare dei pic-nic, attività che lei adorava. Saremmo anche potuti andare al mare, mia madre ci avrebbe accompagnati volentieri per una giornata. E avrebbe anche potuto conoscere Tommaso. Ci tenevo a presentarglielo.
Ero euforico. Ogni cosa che facevo nel corso della giornata mi faceva venire in mente lei. Trattenere dei sorrisi, anche in presenza di altri, era praticamente impossibile.

"Cosa c'è Daniel, che ti vedo così felice?" mi domandó una volta a tavola mia madre, che anche quando parevo il più calmo possibile agli occhi di tutti, percepiva ci fosse qualcosa di diverso, se fossi felice, triste o arrabbiato.
"Indovina? Sonia torna a Torino!" dissi, avvicinandomi a lei.
"Che bella notizia!"esclamò.
"Giá".
"Sono contenta abbiate risolto".
Mia madre era a conoscenza di tutto ciò che mi era successo con Sonia. Le avevo raccontato ogni cosa e lei mi aveva sempre ascoltato dandomi di volta in volta dei consigli. Ero felice di averla come mamma ed ero invece dispiaciuto del rapporto che aveva Sonia con la sua. Di sicuro con lei non parlava di niente. A volte le raccontavo di cose normalissime tra una madre e il proprio figlio, come le mie passioni, la danza, il pianoforte, lo sport. Lei, invece, non parlava con i suoi di quanto amasse scrivere o di quanto ci tenesse ad andare ad un concerto dei One Direction, combinazione tenutosi proprio a Torino l'estate dell'anno precedente.
Mi dispiaceva un sacco per lei. Era una brava persona, oltretutto amante della vita e con mille passioni da coltivare.
Capitava spesso che ci fossero ragazzi della nostra età senza alcuno stimolo, senza alcuna voglia di fare niente, ma con genitori che avrebbero pagato per avere una figlia come lei.

Era anche per questo che mia madre la considerava come se fosse sua figlia ed era felicissima che avessi una ragazza come lei.
"Dai, allora preparale qualcosa per il suo arrivo. Falle trovare una sorpresa" mi invitó a fare.
"Certo, bell'idea. Ma cosa?".
"Be', potresti prepararle un dolce. Che ne dici?".
"Mamma, per quanto ami cucinare, non sono proprio un esperto. Cioè, vorrei prepararle qualcosa di sensato, non la solita crostata o torta margherita".
"Se vuoi posso darti qualche ricetta. Ho un libro di cucina piuttosto chiaro e ha ricette interessanti".
"D'accordo. Ma non potresti aiutarmi?".
"No, cariño. Sarebbe meglio che la facessi tu da solo. Io ho da fare, e sono sicura che lei apprezzerà di più". Sorrise.

Quel pomeriggio passai ben due ore in cucina. Mi sedetti al tavolo, iniziando a sfogliare il ricettario di mia madre, ereditato da mia nonna materna. Cercai una ricetta valida da mettere in pratica, concentrandomi come in una verifica di algebra. A un certo punto Vanesa sopraggiunse, dicendo di volermi aiutare.
"No, grazie, non ho bisogno di casinisti tra i piedi" dissi, bruscamente.
"Dai, Dane! Per favore. Prometto di non fare casino". Sospirai.
"Va bene". Decisi di accettare la sua proposta. In fondo quattro mani e due cervelli erano meglio di due mani e un cervello.

A lei diedi i compiti più semplici: aprire i pacchi di farina e zucchero, grattugiare la buccia di un limone, mescolare gli ingredienti... pensai che così potessi scongiurare la possibilitá che facesse danni.
Io mi occupai di svolgere le cose più tecniche e per le quali avevo paura lei avrebbe sbagliato qualcosa: dosare gli ingredienti, rompere le uova, dividere il rosso dal bianco, e in particolar modo versare il composto nella teglia e cuocere la torta.

Alla fine fu impossibile evitare che della farina cadesse a terra, che mettessi qualche grammo in più di vanillina scambiandolo con il lievito o che rischiassi di far diventare la panna da montare, diventata molto densa, burro. A far casino fui più io di mia sorella, fino a quando non fece cadere l'intero pacco di zucchero sul pavimento. Quello superò ogni mio errore.
"Vanesa, guarda cos'hai combinato!" esclamai. Mi misi a pulire tutto prima che mia madre potesse venire a vedere cosa fosse accaduto.

Alla fine riuscimmo a mettere tutto al proprio posto. Io, più che altro. Mia sorella fu indaffarata ad osservare la torta crescere nel forno.

"Quanto ci vorrà prima di poterla mangiare?" domandò.
"Non è per te, non puoi mica mangiarla!" la rimproverai.
"Comunque ci vanno tre quarti d'ora a centottanta gradi".
"Cosí tanto?".
"Sí" risposi secco, togliendomi il grembiule e iniziando a pulire.
"Devo aiutarti?" mi chiese Vanesa.
"No, vai pure". Appoggiò il grembiule sulla sedia e se ne andò.
"Aspetta" le dissi.
"Che c'è?".
"Scusami, non volevo prendermela". Mi osservò con i suoi grandi occhi neri.
"Anzi. Grazie per avermi aiutato". Sorrise, contenta.
"Mi sono divertita".
"Anch'io".

Iniziai a pulire il pavimento, le stoviglie, le posate e a chiudere le confezioni di zucchero, ormai quasi completamente vuota e quella di farina. Presi la scopa e iniziai a spazzare. Nonostante una prima passata era pieno di granelli di zucchero, ancora.
Dopo quasi tre ore di lavoro tra la ricerca della ricetta, la preparazione della torta e la pulizia a fondo della cucina, potei sedermi sul divano, tirando un sospiro di sollievo e pensando di aver finalmente finito. Non rimaneva che togliere la torta dal forno: i tre quarti d'ora stavano ormai giungendo al termine, così come la giornata.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now