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La partenza di Sonia si stava avvicinando... 

Sonia

19 settembre 2014
Caro Dane,
Manca poco!
Tra una settimana esatta sarò a Torino da te! Sono felicissima, per me è una gioia immensa quella che sto vivendo in questo momento nello scriverti queste parole
Domani inizierò già a pensare a cosa portare e il ventuno faró le valigie. Così per il ventitrè saranno pronte e non dovrò pensare a nulla. Faccio il conto alla rovescia dei giorni che mancano. In fondo le ore sarebbero ancora troppe, per calcolarle.
E tu come stai? E la tua famiglia?
Sono contentissima di venire a trovare anche i tuoi genitori.
In questi giorni mi sono dedicata molto allo studio e anche ad aiutare mia madre: ha ordinato dei nuovi mobili e io sono stata incaricata di essere la sua collaboratrice. Non immagini che rottura di scatole, non le andava bene nulla! Per me la casa sarebbe potuta rimanere la medesima di qualche giorno fa: è bellissima lo stesso. Non te ne avevo ancora parlato: ha una soffitta come la tua, tre camere da letto e due bagni, anche se uno è completamente da rifare. E una terrazza, stupenda. Attorno c'è anche un bel giardino. Almeno per questo, sono molto felice. La villa è molto più spaziosa rispetto alla mia casa di Torino. Ma manchi tu. Se tu fossi con me, sarebbe tutto perfetto.
Ma non importa, a breve ci vedremo e potremo passare di nuovo del tempo assieme. E questa volta non scorderò di chiederti il tuo numero di telefono.
Baci,  
Sonia

Ma nel frattempo altre cose stavano succedendo...

  Daniel

La campanella che annunciava il termine delle lezioni suonò.
Un grido di gioia si levó nell'aria: era finita la settimana. Tutte le volte era sempre così e quelle urla e fischi venivano sempre capeggiati dai ragazzi di quinta che, nonostante fossero prossimi all'esame di maturità, dimostravano di essere tutt'altro che maturi.

Mi diressi di passo svelto verso l'uscita e venni travolto da una folla di persone, spingendo a destra e a manca, cercò di uscire sana e salva dall'ingorgo creatosi, ma finì per rimanervi incastrato. Vidi con la coda dell'occhio alcuni primini venir buttati a terra come fossero birilli a una partita di bowling.

Alle due e otto minuti potei finalmente varcare il cancello, dopo una lunga battaglia conclusasi con una sudata pestinenziale e le orecchie trapanate dalle grida.

Corsi verso la fermata del pullman. Non sarei tornato a casa, quel pomeriggio: avrei avuto lezione di danza. Per quella settimana, Annabella aveva deciso di anticiparla di una giornata poiché il giorno successivo si sarebbe dovuta assentare.
Per le tre dovevo essere lì, giá cambiato, ed erano ormai le due e quindici quando arrivai alla fermata. Speravo che l'autobus passasse nell'immediato, ma incontrarne uno puntuale ogni morte di papa era fin tanto.

Mentre camminavo di passo svelto verso di essa, vidi in lontananza Fabio. Stava raggiungendo un ragazzo che aveva percorso la strada da scuola fino a dove mi trovavo io in quel momento, solo sul marciapiede opposto.
Lo guardai senza farmi notare eccessivamente.
I due si trovarono uno di fronte all'altro, ma ormai non erano più alla mia stessa altezza. Erano indietro, e voltarmi a guardarli sarebbe risultato imbarazzante.

Proseguii per la mia strada, anche se in quel momento stavo morendo di curiosità. Volevo sapere che cosa fosse successo e se i due si conoscessero bene o fossero soltanto conoscenti. Oltretutto non sapevo chi fosse quel ragazzo. Non avevo avuto modo di vederlo in volto, ma solo di profilo, per di più di lontano. Aveva i capelli castani. Questo, l'unico dettaglio che ero riuscito a cogliere di lui.

Arrivai a lezione di danza alle tre e un minuto. I ragazzi erano già tutti in palestra, mancavo solo io. Mi diressi, cosí, verso lo spogliatoio sperando di non essere notato. Dovevo fare in fretta. Annabella sarebbe arrivata a momenti e per lei era essenziale trovarci tutti pronti e chi arrivava in ritardo avrebbe dovuto fare una sessione di addominali per ogni cinque minuti che passavano in più.

Tre e due minuti. Vidi la prof salire le scale, ritmicamente. Uno, due. Uno, due. Riuscii a entrare in palestra senza farmi notare, con le scarpe ancora slacciate e le maniche della maglietta non ancora infilate.

"Hey, Daniel! Come mai non sei arrivato prima? Ti aspettavo fuori" sentii la voce di Tommaso. Mi salutò
porgendomi un cinque, che strinsi frettolosamente per poi ritornare a maneggiare i lacci delle mie scarpe, giacenti a terra.

"Buongiorno prof.!" udii gridare i miei compagni. Annabella aveva fatto il suo ingresso.
Mi alzai frettolosamente da terra e mi unii al saluto, un po' in ritardo.
"Ciao, ragazzi. Ci siete tutti?". Ci guardammo attorno.
"Sì, siamo tutti" disse Filippo.
"Bene. Cominciamo" annunciò lei, posando lo stereo su una sedia.
"No, aspetti prof... manca qualcuno" udii sussurrare da qualcuno che si stava attentamente guardando attorno.

"Manca... manca Fabio!" sentii esclamare da uno della sua banda.
"Giusto! Come abbiamo fatto a non accorgerci di lui!?" si domandó la banda cicciotti , così chiamavo il gruppo di amici di Fabio, avendo preso spunto dalla celeberrima banda bassotti. La cosa ad accomunarli erano, infatti, le loro fisicità, non proprio atletiche, longilinee.

"Sono tutti muscoli!" osavano dire loro quando parlavano di sé, e intanto mettevano in mostra bicipiti dalle circonferenze abbondanti.
"Già. Si sente la mancanza di un rompipalle!" azzardò Filippo.
"Sta zitto, moccioso. Qua sei il più piccolo. Non hai il diritto di esprimerti".
"Con 'Sei più piccolo di me' intendi di età o di pancia?"osò provocarlo, facendo un passo in avanti. Tommaso, mostrando l'istinto da fratello maggiore quale era, lo obbligó ad indietreggiare.

"Basta, ragazzi!" arrestò la discussione Annabella.
"Sapete se viene più tardi o no?" chiese poi.
"No, provo a chiamarlo" propose uno della banda.
"Prof, io lo ho visto oggi davanti alla mia scuola con un ragazzo verso le due e dieci. Da lì ci vuole più di mezz'ora fino alla palestra, ma lui non so cosa stesse facendo" dissi, facendo intendere che forse non sarebbe venuto.
"Era solo?" mi domandó Giorgio, che era comparso all'improvviso dallo spogliatoio senza maglietta.
"Cosa ci fai qua?" gli chiesi.
"Sono venuto ad allenarmi in palestrina per una gara del prossimo fine settimana. Non posso, forse?".
Il padre di Giorgio era uno dei gestori della palestra, per cui lui poteva accedervi in qualsiasi giorno per allenarsi, assieme ad alcuni suoi compagni di corso.
"Comunque no, con lui c'era un ragazzo castano che mi sembra venga nella mia scuola" risposi.
"Spero per lui non sia Andrea!". Ridacchiò. Io e Tommaso ci guardammo. La prof. non potè dirgli nulla. Lei, lì, era solo una dipendente e mettersi contro il capo non era l'ideale. Si limitò soltanto ad invitarlo ad andarsene.
Non appena si girò verso di noi, però, vedemmo alle sue spalle arrivare Fabio, di corsa.
"Ti ammazzo!" lo sentimmo gridare.
A quel punto fu inevitabile sospendere la lezione, perché tutti si precipitarono fuori a vedere cosa stava succedendo.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now