48-1829

282 63 18
                                    

Daniel

Entrai in casa, salutando. I miei dovevano essere rientrati dal lavoro, così come mia sorella da scuola. Erano ormai le cinque.
"Chissà, magari dormono tutti" pensai, non udendo alcun tipo di rumore.
Mi diressi in salotto, dopo essermi tolto le scarpe e aver infilato le pantofole, situate accanto alla scarpiera. Mi avvicinai al tavolino su cui mia madre posava le sue riviste di moda. Appoggiato accanto al vaso di orchidee vi era un biglietto, malamente strappato da un block-notes.

Daniel, io e tuo madre siamo andati in ospedale. Tua sorella ha avvertito un forte mal di pancia. Speriamo di tornare presto , recitava il pezzo di carta il cui bordo non era perfettamente integro. Era stato scritto con una calligrafia in stampatello maiuscolo in modo disordinato e grossolano, tipica di mio padre.
"Che cosa le sarà successo?" mi domandai, nervoso, cominciando a mordermi insistentemente le cuticole della mano.
Non seppi se chiamarli o meno, ma alla fine preferii evitare; l'avrebbero fatto loro in caso di necessità. Non volevo disturbarli, di sicuro erano agitati almeno quanto lo ero io in quell'istante.

Andai in camera mia, tormentato dal pensiero di non sapere cosa fosse appena accaduto a mia sorella.
Mi tolsi la maglietta, mi sedetti sul letto. Iniziai a mordermi un labbro, appoggiando le mani sul mento e i gomiti sulle ginocchia, infreddolitesi per via degli strappi nei jeans, sbiaditi.
Mi strofinai gli occhi, sospirando.

Decisi di fare almeno uno squillo ai miei, almeno vedendo la notifica e mi avrebbero richiamato.
Non sarei riuscito a proseguire senza sapere cosa stesse accadendo a Vanesa. Per lei sarei morto.

Digitai il numero di entrambi, prima dell'una, poi dell'altro. Feci uno squillo a testa, ma non mi aspettai che qualcuno rispondesse. Mio padre lo fece, inaspettatamente.
"Ciao, Daniel" sentii pronunciare dalla sua voce naturalmente roca.
"Papà, cos'ha Vanesa?" domandai immediatamente, mostrandomi in tutta la mia agitazione.
"Ha avuto l'appendicite. La stanno operando".
"Come?" chiesi, non tanto per avere una replica di ciò che avesse appena pronunciato, quanto più per prendere tempo.
"Sì, ci sono state delle complicazioni".
"Cosa?! E da quanto siete lì?".
"Un paio d'ore, più o meno". Sospirai.
"E quando tornerete?".
"Non lo so, Daniel. Stasera dovremmo essere nuovamente a casa".
"E Vanesa? Quanto dovrà rimanere lì? Cosa sta accadendo?". Mio padre rimaneva in silenzio.
"Parla, per favore!" insistetti.
"Poco più di una settimana, ci hanno detto".
"Così tanto?".
"Sì".
"Vi prego, passatemela, appena potete".
"Daniel, adesso non si può. La stanno operando. E non penso che stasera la potrai sentire".
"Va bene". Mi calmai, rassegnato all'idea che per una ventina di ore non avrei potuto fare nulla.
"Adesso dovremmo andare, Daniel".
"D'accordo. Fatevi sentire, però. Ciao".
"Ciao". Attaccai la chiamata. Sospirai, lasciando che il senso di impotenza si appropriasse della mia mente e mi abbandonai a una tristezza immensa. Ero così tanto preoccupato per lei. Era la persona a cui più tenevo.Vanesa era davvero speciale, per me, la sorella che avrei sempre desiderato di avere. E sapere che le fosse successo qualcosa di brutto mi faceva impensierire molto.

Passai il resto del pomeriggio ad ascoltare la radio sdraiato sul letto e a lanciare una pallina contro la parete di fronte rispetto alla posizione in cui mi ubicai. Poi fu la volta del soffitto e infine smisi.
Iniziai con le freccette. Mi alzai dal materasso, saltando energicamente giù da esso, senza adoperare le scalette, ritenute troppo impegnative. Le staccai dal centrino tondo e morbido attaccato alla parete e tornai alla posizione precedente.
Le tirai con violenza contro l'obiettivo dai cerchi concentrici di vari colori, cercando di centrare quello più piccolo, nero.

Il mio cellulare, sul davanzale, iniziò a squillare, riproducendo una melodia al pianoforte.
Qualcuno mi stava chiamando, di sicuro non potevano essere i miei genitori, per i quali avevo impostato una suoneria predefinita.
"Sarà Tommaso, o suo fratello. O al massimo Fernando che mi vuole chiedere di uscire".

La storia prima della storiaOnde as histórias ganham vida. Descobre agora