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Daniel

Passai alla grande le vacanze natalizie. Durante le due settimane di pausa dalla scuola mi ero riposato fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. La lontananza da Sonia mi aveva destabilizzato per mesi, e il poter rivederla e recuperare di conseguenza la serenitá che avevo perso era l'unica cosa che avevo desiderato.

Non solo dedite al riposo, le festività furono fonte di divertimento, come d'altronde accadeva tutti gli anni. Avendo maggiore tempo a mia disposizione rispetto a quello che avevo durante una qualsiasi settimana scolastica: potevo dedicarmi alla pratica di varie attività senza dover pensare di anteporvi lo studio.

Tutto era, però, reso possibile da una sola cosa: avevo una bellissima famiglia, con una sorella che adoravo e dei genitori magnifici. Eravamo molto uniti e per me era la cosa che più contava fra tutte per mantenere la serenitá nella mia vita quotidiana.

Io, Vanessa e i miei eravamo soliti passare le vacanze, sia a Natale che in estate, dai nostri parenti nel Sud della Spagna.
Ma per quell'anno avevo convinto i miei a posticipare il viaggio di circa un mese e mezzo, per Carnevale.
Volevo passare quei pochi giorni di fine dicembre con Sonia. Almeno per quella volta.

Appena avevo avuto la conferma del suo ritorno a Torino feci in modo di non partire.
In fondo, lei sarebbe venuta solo perché c'erano le due settimane di vacanza. Io invece, in Spagna, potevo andarci in qualunque momento ne avessi avuto voglia e starci quanto mi pareva.

"Va bene, passi per questa volta. Ma a febbraio andiamo dai nonni, Daniel, che ti piaccia o no" mi disse mio padre.
Forse non aveva capito che la mia risposta negativa per la partenza non era dovuto ad una questione di mancanza di voglia, ma alla precedenza che avevo dato a Sonia in quelle circostanze.

Adoravo i miei parenti in Spagna, e poi cambiare aria mi piaceva. Così come mi piacevano il mare e la casa che avevano i miei nonni a pochi passi dalla spiaggia. Ma amavo allo stesso modo la mia ragazza, che sapevo di non vedere da ben due mesi.

Il venticinque dicembre, il giorno re delle festività, dovetti assistere, come ad ogni lieto evento, all'apertura di decine di regali per mia sorella nonostante non fosse più una bambina. Ne riceveva a tonnellate ogni anno e pareva che a ogni Natale che passava il numero di doni ricevuti crescesse con lei.

A me toccó invece la solita, noiosa busta con i soldi.
"Tu ormai sei già grande" diceva mia nonna paterna, e nel pronunciare tali parole mi obbligava a sedermi in braccio a lei.
"Nonna, non sei coerente. Se sono grande per farmi fare dei regali allora sono grande anche per le dimostrazioni di affetto" cercavo invano di ribellarmi.
"Ma tu sei il mio unico nipote maschio! Tutti gli altri sono nipoti femmime".
"Cosa c'entra? E poi, proprio perché sono un ragazzo non dovresti sottopormi a cose del genere" rispondevo, ma alla fine non potevo non sciogliermi di fronte a tutto il ben di dio che preparava in cucina, facendo trovare su una bella tavola imbandita qualsiasi pietanza. Era grandiosa.
Tutto quello che cucinava mi faceva dimenticare la storia dei regali per mia sorella. Non che fossi geloso; ma sentivo, nonostante non volessi ammetterlo, che ormai io ero troppo cresciuto. E quella che provavo non era invidia, ma solo banale nostalgia. In fondo era bello anche solo scartare i pacchetti per poi vedere cosa ci fosse dentro.
Non ero mai stato materialista. Non m'importava granchè cosa mi regalassero, ma la gioia più grande per me era aprirli, i regali. Levare la carta colorata, sentire il rumore dello strappo e vedere comparire qualcosa sotto di essa. Qualsiasi cosa fosse.

Io e Sonia potemmo vederci non spesso, a differenza di quello che avevamo previsto. I nostri genitori gradivano che sia io sia lei stessimo in famiglia. Ma almeno tre volte prima che ricominciasse la scuola riuscimmo a passare del tempo assieme.

Mi raccontó che ormai sua mamma fosse incinta di quasi sei mesi.
"Avrai una sorella!" esclamai.
"Giá. Speravo in un maschio" mi confessò.
"Ma non importa, va bene anche così".
"Io invece, nel frattempo, ho chiesto ai miei di prendere un altro cane".
"Un altro? Siccome non bastano...". Risi.
"Va be', uno in più, uno in meno". Rise.
"Daniel...". chiamó il mio nome facendosi seria.
"Dimmi. Che cosa ti prende, perché mi chiami così?" chiesi, battendo un paio di volte le ciglia.
"Nulla... vorrei avvisarti del fatto che non potremo vederci fino a Pasqua" dichiarò. Un colpo al cuore.
"Come? Non potremo vederci per quasi tre mesi?".
"Giá. I miei non possono permettersi così tanti voli all'anno. Sarei voluta venire verso fine febbraio, per non far passare più di un mese e mezzo. Ma loro non hanno le possibilità economiche, per il momento. Magari, andando avanti, sarà tutto migliore". Abbozzò un sorriso.
"Va bene. Ti aspetteró sempre". Sorrisi.
"A quel punto tua sorella dovrebbe nascere, no?".
"Sì, più o meno. Vorrei fartela vedere il prima possibile! Spero che per quando tornerò sarà giá nata".
"Come la chiamerete?".
"Non lo so, Dane. Io vorrei chiamarla Arianna".
"Ma come, non era un nome destinato a tua figlia?". Rise.
"Be', non per forza! Sorella o figlia, se il nome posso sceglierlo io, va bene anche ad entrambe. No?". Risi.
"E i tuoi come stanno?".
"Sono impegnatissimi con il lavoro e non sono mai a casa. Però poco male. Mi gestisco da sola, sono diventata molto più responsabile da quando loro mi prestano meno attenzioni. Prima, per andare a prendere il pane in panetteria dovevo avvisare quando uscivo e chiedere il permesso".
"Addirittura?" domandai, stupito dall'esagerazione dei suoi.
"Era per dire! Non mi viene in mente un esempio più logico". Sorrisi.

"E tu? Tutto okay?" voltò la frittata.
"Sì, sì. Qualche settimana fa abbiamo fatto il saggio di danza".
"Ma dai! Che bello!" esclamò.
"Ho delle foto. E qualche video. Te li mostro volentieri".
"Grazie. Di sicuro sei stato il migliore. No?" disse per farmi arrossire, ma senza raggiungere il suo obiettivo.
"Beh, soggettivo".
"Non fare sempre il modesto! Quando fai così, allora vuol dire che ho ragione". Annuii con gli occhi chiusi.

"Oh, cos'altro..." riflettei.
"Ah, sí! Mia sorella è stata presa tra i dieci ragazzi per il servizio fotografico di vestiti per ragazzi dagli undici ai quattordici anni".
"Non mi dire. Che figata! Segue le impronte di tua madre!".
"Non proprio... Era per una casa non conosciutissima. E poi dura poco, solo qualche settimana".
"Va beh. dai. Non mi sembra sia un cattivo inizio". Sorrisi.

"Tu hai mai pensato di fare il modello?".
Risi.
"No! Non avrei speranze. E poi me lo chiedi di continuo".
"Non è vero".
"Sì".
"Per cosa è il si ? Per il fare il modello ?".
"No!". dissi. Mi guardò in cagnesco.
"Non sto capendo nulla".
"Non voglio farlo. Uno, non mi fa impazzire l'idea. Due, chi mi prende?".
"Per te ci sarebbero code intere di persone disposte ad ingaggiarti". Risi.
"Ma che dici?".
"Se io fossi una fotografa, dedicherei un intero album alle foto che ti scatterei. Per me sei bellissimo. Sia dentro che fuori. Sei una bellissima persona, sensibile e intelligente. E penso di non essere l'unica che se n'è accorta. Sono certa che tante persone ti invidiano, per come sei, e vorrebbero essere come te. Magari fossero tutti come te. Ma tu sei unico".
"Ma un modello non dev'essere bello interiormente. Lo sai, vero?".
"E chi ha detto che tu non lo sia esteriormente?" disse lei, sorridendo.

"Spero tanto che tua sorella arrivi al più presto"cambiai discorso.
"Perchè?". Sonia mi osservò con i suoi occhi blu, le ciglia corte ma scure.
"Voglio vedere se ti somiglia".
"Chissà come sarà il nostro rapporto in futuro" mi disse, accennando un sorriso dolcissimo.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now