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Daniel

Un sabato nuvoloso...

Reduce da una nottata ben trascorsa, mi svegliai ben riposato a un orario precoce.
Di prima mattina, dopo un'abbondante colazione tipica del sabato, telefonai a Sonia. Volevo sentirla, dopo un bel po' che non lo facevo. Le ultime settimane, a causa del corso di danza, mi avevano portato via ogni attimo di libertà.

Dopo un paio di squilli, un brusio di sottofondo che la linea della chiamata era stata agganciata. Iniziando a sorridere, attesi di sentire la sua voce e di vedere il suo volto in videochiamata.

"Chi è?" domandò.
"Ciao, amore" le dissi, appena vidi sbucare il suo visino da dietro un libro.
"Ciao, Dane!" esclamò.
"Cosa fai?" domandai incuriosito dal libro che teneva in mano, sporgendomi a destra e a sinistra come se tale gesto potesse consentirmi di leggere il titolo scritto sulla copertina. Questo, però, era tagliato dalla videocamera del telefono che non lo riprendeva nella sua totalità.

"Sto leggendo" rispose lei, spostando le sue pupille su una pagina del libro, aperto.
"Lo vedo. Ma cosa?".
"Un dizionario".
"Oh. Di polacco?".
"No, portoghese". Scoppiai a ridere.
"Non dovresti studiare il polacco, per cominciare?".
"Pf, ha ha!" rise lei.
"Quello lo so già. Voglio imparare una nuova lingua".
"L'ho sempre detto che tu farai il linguistico. E questa ne è un'ulteriore prova".
"Mh, può darsi. Ho ancora un paio di mesi per decidere la scuola superiore".
"Quanto vorrei averti in classe con me, al linguistico". Rise.
"Sarebbe bello sì" mi disse, stringendosi fra le spalle.

"Ormai quante lingue sai?" le chiesi.
"Italiano, ovviamente, polacco, inglese e spagnolo".
"Aggiungiamo il portoghese, e magari anche o il francese o il tedesco che sei obbligata a studiare alle superiori... e sono sei".
"Sei bravo in matematica. Avresti potuto fare lo scientifico" mi prese in giro. Le feci la lingua, che ricambiò. Adoravo scherzare con lei: mi faceva sentire come se fossimo ancora più legati.

"Tu cosa fai?" voltò la frittata la mia ragazza.
"Niente di che. Ho accompagnato mia sorella a un provino".
"Provino per cosa?".
"Per una campagna pubblicitaria di vestiti".
"Wow, e l'hanno presa?".
"Non lo so. Mia madre è rimasta lì con lei, io mi stavo annoiando e sono tornato a casa per chiamarti". Sorrise, adagiando il libro su una superficie in legno che pareva essere la sua scrivania.

Parlammo ancora per una ventina di minuti, poi lei annunciò che avrebbe dovuto chiudere. Sua mamma stava tornando dall'ospedale e lei si sarebbe dovuta occupar di fare la spesa.
"Ha appena fatto una visita di controllo per la gravidanza" mi disse.
"A che mese è, adesso?".
"Al quarto".
"Cavolo, già al quarto" dissi, a bassa voce, sorridendo. Sorrise anche lei.

"A te piacerebbe avere dei figli?" le domandai per non cambiare argomento.
"Certo. E a te?".
"Anche" risposi.
"Maschi o femmine?" mi domandò.
"Non lo so. Forse femmina. E a te?".
"Maschi e femmine. Magari due maschi e una femmina".
"Oh. Io solo una, forse. Per dedicarmi soltanto a lei".
"Ma una famiglia allargata è più bella!" disse lei, che non aveva mai avuto fratelli, sorelle o cugini della sua etá con cui giocare da più piccola.
"Hai ragione. Ma mi piace l'idea di avere una figlia sola, un'unica bambina". Sorrise.
"E come la chiameresti?".
"Non lo so, sai? Tu come chiameresti i tuoi figli?" girai la frittata.
"I maschi non so, la femmina Arianna".
"Perché proprio quello?". Sorrisi.
"Mi piace perché adoro la storia del Minotauro". Sorrise.
"Dane, adesso devo proprio andare" mi annunciò ad un certo punto.
"D'accordo. Ci sentiamo presto allora".
"Certo. A presto". Scosse la mano, sorridendomi.
"Ciao". Le mandai un bacio e attesi che chiudesse la chiamata.

Il sentirla mi aveva fatto bene. Ogni tanto volevo rivederla, dopo lunghe attese. Passavano giorni, infatti, senza che ci parlassimo. Eravamo entrambi occupati e avevamo orari diversi a scuola. Oltretutto lei aveva anche dei corsi di potenziamento per il polacco e quindi il tempo a sua disposizione andava riducendosi ulteriormente.
Amavo il momento in cui ci sentivamo, poiché l'aspettavo con ansia per giornate intere. In fondo, secondo me l'attesa stessa era una vera soddisfazione. A patto che, poi, si raggiungesse l'obiettivo inseguito.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now