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Sonia

"Chi è?" sentii domandare al di lá della porta da una voce maschile che immediatamente fece battere più in fretta il mio cuore. Un largo sorriso invase le mie labbra che, per mantenere il silenzio, si strinsero l'una sull'altra.

"Io..." risposi vagamente, per non lasciar trapelare indizi che permettessero di far capire nell'immediato chi fossi.
"Io chi?" chiese il mio interlocutore, un po' scocciato. Ma sarebbe stato lo stesso se fosse accaduto a me. Anche io avrei iniziato a innervosirmi se non avessi ricevuto una risposta precisa.

"Io, Dane" lo aiutai, sussurrando il suo nome. Sentii la porta venire immediatamente aperta. E a quel punto sorrisi ancora di più. Lo scherzo era durato poco, ma mi parve di aver pazientato un'eternità.

Un enorme sorriso comparí sulle sue labbra e non cessò fino a quando la mia bocca non venne baciata.
"Sonia..." sussurrò Daniel, dopo essersi separato da me. Il suo viso, a pochi centimetri dal mio volto, era pienamente illuminato da un raggio di sole.
"Ciao, Dane. Come stai?" domandai, a bassa voce, per non turbare il silenzio che vigeva attorno a noi.
"Sonia... Sonia, sei qui". Lo vidi sgranare gli occhi verdi, forse ancora incredulo. Evidentemente l'effetto sorpresa mi era riuscito alla grande.
"Sì, hai visto? Non mi sono dimenticata di te". Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime.

Allungó le braccia verso di me per abbracciarmi. Cinsi le mie attorno al suo collo, mettendomi sulle punte dei piedi. Lui era parecchio più alto di me, di quasi una spanna. Per baciarlo non avrei potuto fare altrimenti.

"Amore...".
"Dane, mi sei mancato un sacco". Mi toccò una guancia con il naso.
"Com'è che sei tornata? I tuoi ti hanno dato il permesso?".
"Sì. Non avrei resistito fino a Natale senza vederti. Mi mancavi troppo". Ci lasciammo. Lo osservai. Aveva i capelli spettinati, il ciuffo in disordine. Glielo sistemai passando un dito in una ciocca.

"Quando sei tornata?" mi chiese, incuriosito. Sapevo già che le domande a cui rispondere sarebbero state molte. In fondo la colpa era di tutto il tempo che avevamo passato l'uno lontano dall'altra.

"Ieri sera, verso mezzanotte" spiegai.
"E quanto resterai?".
"Purtroppo poco. Giovedi dovrò ripartire. Abbiamo cinque giorni per stare assieme, se ti va".
"Certo che mi va!". Mi regalò un bellissimo sorriso. Lo guardai negli occhi, dalla tonalità verde oliva, occhi di cui non avevo mai dimenticato il particolare colore.

"Dai, entra in casa" mi invitò a fare, girandosi per un istante per verificare che la porta non si fosse chiusa. Annuendo, accettai la sua proposta e varcai prudentemente l'uscio del portone dell'ingresso. Non volevo che qualcuno stesse ancora dormendo.

"Sono ancora tutti a letto, ma tra poco dovrebbero alzarsi" mi lesse nella mente Daniel, rispondendo a una domanda che mi ero posta io mentalmente.
"Okay. Non vedo l'ora di salutare tutti, soprattutto Veba".
"Veba penso si sia giá svegliata. Era in camera che si girava nel letto quando ha sentito bussare alla porta. Mi ha sicuramente visto mentre mi alzavo per venire ad aprirti". Sorrisi.

"Allora? Raccontami, dai. Abbiamo così tante cose da dirci!" esclamò, invitandomi a sedermi accanto a lui sul divano. Presi dallo zainetto che avevo sulle spalle il diario che avevo scritto in Polonia e glielo porsi.
"Prima di tutto, questo" accennai.
"Che cos'è ?" domandò, abbassando lo sguardo su di esso.
"Per te".
"Per... me? Cos'è?" tornò a chiedere.
"Aprilo" lo invitai a fare, senza dargli alcun suggerimento.
"È il diario che ti avevo regalato io" dedusse.
"Esatto. Ho scritto quasi quotidianamente quello che mi succedeva in Polonia, in modo da dartelo al ritorno e renderti partecipe delle novità".
"Oh, ma è bellissimo! Non vedo l'ora di leggerlo" esclamò, stringendolo fra le mani grandi.

"E tu? Cosa mi racconti?" chiesi.
"Be', non è successo granchè a Torino. Tranne che ho iniziato il corso di danza, come sai".
"Ti prego, adesso che puoi, raccontami tutto nei dettagli. Sono curiosissima di sapere come ti trovi" espressi il mio desiderio.
"Molto bene. Ho imparato un sacco e mi diverto un casino. Ti ho già detto che eravamo in cinquanta? Ci hanno dovuti dividere in tre gruppi".
"In che giorni vai a ballare?".
"Il sabato e il lunedì per un totale di tre ore alla settimana".
"I compagni come sono?".
"Grandiosi. Lí ho conosciuto Tommaso, potrei considerarlo uno dei miei migliori amici. Ah, poi c'è anche una specie di bullo..." . Gesticolò con le mani.
"Ah sì?".
"Più o meno. Cioè, non è proprio un bullo. Si diverte a fare il prepotente. Penso lo sia proprio di carattere. È molto serio, non l'ho mai visto sorridere. Direi che gli aggettivi che piú gli si addicono sono testardo e sfacciato. Peró non è una cattiva persona. Sai, è quello che mi ha fatto arrivare tardi al primo incontro".
"Ah, già". Sorrisi.
"E con la scuola?".
"Tutto bene" disse, sistemandosi un cuscino dalla federa in seta dietro alla schiena.
"I voti?" domandai. Mi sorrise.
"Cosa ti devo dire?".
"Voglio sentirti dire che sei intelligente e che prendi tutti dieci. Io lo so benissimo, ma voglio che tu lo ammetta. Perché so che è così". Rise.
"Ma no, dai... mi impegno, voglio dire... prendo bei voti, ma nulla di che" fece il modesto.
"Ciao, sono Daniel. Studio, studio, studio, prendo un sacco di dieci ma non è nulla di che , eh!" Lo imitai. Rise di nuovo.
"E tu?".
"Oh, io mi ritengo più che soddisfatta. Ho tutti quattro". Risi.
"Come?!".
"Nel diario ho spiegato anche alcune cose riguardanti il sistema scolastico. Le valutazioni non vanno da uno a dieci, ma da uno a cinque. Per cui quattro è un buon voto" spiegai.
"Oh. cos'altro spieghi in questo manuale?" scherzò.
"Tante cose".
"Ma allora non dirmi che non hai nulla da raccontarmi!" si lamentò.
"Be', ma non voglio nemmeno dirti tutto adesso. Sennò a cosa serve tutta la fatica che ho fatto per riempire quelle benedette cento pagine con l'inchiostro di decine di penne!?".
"Scusa, scusa. Hai ragione". Ridemmo.

"E tu cos'altro mi dici?" insistetti.
"Non saprei. Dovrei rifletterci" mi rispose.
"Ah sì! In queste settimane è venuto fuori che attorno a Fabio vi è un mistero. Sai?" proseguì all'improvviso.
"E di cosa si tratta?" chiesi.
"Se lo sapessi non sarebbe un mistero, no?".
"Oh. Giusto".
"Posso soltanto dirti che sono successi un bel po' di pasticci tra me, Tommaso, Fabio, un certo Giorgio che non fa il corso con noi e un altro ragazzo di cui nessuno conosce l'identità".
"Mi intriga la cosa" confessai, sollevando le sopracciglia.
"Appena saprò di più ti terró informata".
"Va bene". Mi avvicinai a lui per baciarlo.
"Anche questo mi è mancato di te" dissi.
Mi baciò di nuovo, appena in tempo per vedere comparire davanti a noi la piccola Vanesa. Daniel la definiva cosí, ma era più alta di me.

"Ciao, Veba!" esclamai alzandomi dal divano e avviando i miei passi verso di lei che, braccia spalancate, attendeva un abbraccio.
"Hey, Sonia" mi disse a un orecchio non appena i nostri busti vennero a contatto. Le sue braccia esili circondarono il mio collo, facendomi subito avvertire un tiepido e piacevole calore attorno a tutto il mio corpo. Ero finalmente di nuovo a casa.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now