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Daniel

Undici e undici di sera. Varrà la pena esaudire un desiderio, o ciò non conta, se non è mattina?

Mi sdraiai sul letto in camera mia, chiudendomi a chiave in modo da assicurarmi la massima tranquillità. I miei stavano guardando la televisione in soggiorno, mentre mia sorella dormiva sul lettone dei miei genitori, stanca morta dopo un intero pomeriggio passato a fare attività fisica. E pensare che non fosse mai stata una pantofolaia... anzi, mi faceva strano quando, quelle poche volte, mia capitava di vederla appisolarsi per ore sul divano e arrestare qualsiasi movimento ad eccezione del petto che si sollevava e abbassava per garantirle di restare in vita: era sempre, costantemente in movimento.

Annoiato, convinsi me stesso a dedicarmi a qualcosa di produttivo. Il problema fu decidere l'attività.
"Cosa posso fare a quest'ora della sera?" mi domandai, non trovando soluzione.
"Ah, già!".
Sporgendomi verso l'estremità del materasso, afferrai la lettera di Sonia che avevo lasciato sotto il cuscino in modo che nessuno sapesse della sua esistenza finendo per leggerla. Essendo da sempre una persona riservata, non avrei potuto sopportare l'intrusione di qualcuno nella mia camera. E con qualcuno intendevo mia sorella.

Intenzionato a leggerne il contenuto, aprii la busta con estrema delicatezza. Passando le forbici in una piccola fessura, garantii la sua apertura senza il rischio di strapparne il contenuto, prezioso.
Guardai la busta. La girai, la rigirai.
Sospirai intuendo che, dopo averla capovolta più volte su se stessa, mi sarebbe toccato leggere, e temevo di rimanere ferito. In ogni caso, ero curioso di cimentarmi nella lettura: Sonia scriveva benissimo.

Avevo il cuore che batteva in fretta, agitato per la paura di compiere l'importante passo che mi avrebbe portato alla conoscenza del testo, steso su quel pezzo di carta che odorava di lei.

Da un lato, infatti, mi metteva ansia sapere che si trattasse di qualcosa da scoprire; mi sentivo un po' come quando si scarta un regalo e non si sa mai cosa aspettarsi; dall'altra, ero impaziente di leggerla: la curiosità era innegabile.

Estrassi finalmente la lettera, candida e di materiale piuttosto spesso. Era piegata in quattro lungo due linee perfettamente perpendicolari. La aprii, facendo rumoreggiare la carta.
E

ra scritta con una meravigliosa calligrafia in corsivo tracciata con dell'inchiostro nero; probabilmente si trattava di una penna stilografica.

Iniziai a leggerla nella mia mente, concentrandomi sul significato di ogni singola parola.

Caro Daniel,
O meglio, Dane. È così che ti ho sempre chiamato. Sin da quando, non molto tempo fa, ti ho conosciuto.
Ti scrivo questa lettera per farti sapere che ho pensato a te prima di partire come ti sto pensando in questo momento, mentre tu stai leggendo, anche se forse crederai che non sia così. Non smetterò di pensarti un attimo, ogni giorno.
Avevo un grande desiderio scriverti un messaggio su carta. Trovo sia qualcosa che non capiti spesso. Insomma, che sia qualcosa di raro, destinato ad essere messo in pratica solo in caso di destinatari importanti. E tu sei fondamentale, per me.

Faccio scorrere la penna che tengo sulla carta per il gusto di sentire l'odore dell'inchiostro che si mescola a quello della cellulosa, per il piacere di sporcarmi le dita e di sfregare una mano su di esse nel vano tentativo di scacciare quelle piccole e dense chiazze scure che si formano sulla mia pelle chiara. Anche se, riflettendo, di cose da dirti non ne avrei poi così tante. Però mi sembrava un gesto che dimostra un valore maggiore rispetto a un messaggio virtuale.
C

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now