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Sonia

"E tu dove vai?" mi venne subito chiesto da mio padre che mi colse in flagrante mentre cercavo di dileguarmi per uscire con Daniel.
"In giro".
"In giro dove?".
"Da Vanesa e Daniel" ammisi. Non mi andava di mentire. Oltretutto non mi sarei dovuta vergognare di una cosa simile.
"Non se ne parla" mi rimproverò.
"Perché? Sono andata tante volte da loro".
"Da Vanesa, semmai" sperò mio padre.
"Mh, no" dissi, con tono secco.
"Anche da Daniel".
"Come scusa? Frequenti un ragazzo? Alla tua età?".
"Sì, papá. Qual è il problema?".
"Che hai tredici anni".
"Appunto". Feci spallucce.
Mi guardó stupito dalla mia risposta.
"Ci sta provando con te?" mi domandó.
"Non solo ci ha provato. Ci è anche riuscito!" Avrei voluto dire.
Ma ho evitato. Facendo così, probabilmente non mi avrebbe più fatto venire a Torino così spesso, sapendo il motivo per cui volevo tornare ogni volta.
"No, che dici? Dico solo che anche lui è mio amico".
"Va bene. In ogni caso, la risposta è no". Rimasi allibita. Ribattei.
"Forse non hai capito che la mia non è una domanda. Ma un'affermazione". Fu lui a rimanere più stupito di me.
"Ci vediamo stasera. Tranquilli, starò via non più di due ore." dissi, prendendo la borsa che avevo lasciato nell'ingresso e allacciandomi le scarpe.
"Sonia! Non permetterti di varcare quella porta" mi rimproverò mio padre.
La richiusi dietro di me, dopo essere uscita.
Sentii mia madre iniziare a litigare con mio padre.
Probabilmente lei mi avrebbe fatta uscire, e non voleva che mio padre mi limitasse a tal punto di non permettermi nemmeno di incontrare i miei amici l'ultimo giorno prima della partenza.

Uscii di casa, chiudendo il cancello esterno con delicatezza.
Iniziai a correre, allegramente.
Mi avviai verso il nostro punto di incontro, curiosissima di incontrare Daniel. A quell'uscita ci sarebbe stato anche Fernando.
Mentre camminavo, ascoltavo qualche canzone allegra. In una giornata non troppo soleggiata, ma insolitamente non esageratamente fredda, avevo bisogno di distrarmi.

Mi divertii a percorrere tutti i bordi dei marciapiedi mantenendo l'equilibrio e ad attraversare ai semafori col rosso.
Nel paesino in Polonia non c'erano nè semafori, nè troppi marciapiedi.
Era praticamente campagna.
Volevo sfogarmi con le poche cose divertenti che un'affollata città in periferia poteva offrire.
Vicino all'ingresso di un supermercato trovai un euro.
Non seppi se investirlo in qualcosa di commestibile come un gelato, o una busta di patatine, o ancora una lattina di cocacola o un pacco di caramelle.
Alla fine feci la cosa più nobile. Lo diedi ad un mendicante che sostava lí di fronte. Probabilmente, tanto occupato a chiedere soldi alla gente che entrava ed usciva dal negozio, nemmeno lo aveva notato a terra.
Mi ringrazio con un sorriso, e mi sentii bene con me stessa.

Giunsi al parco in men che non si dica. Non mi resi neppure conto di trovarmi giá a destinazione, ad un certo punto.
Il parco era pieno di gente, nonostante non facesse ancora caldo e le giornate si accorciassero in fretta.
Mi guardai intorno per verificare che Daniel ed il suo amico si trovassero lì.

Daniel

Io e Fernando ci incontrammo davanti alla scuola. Era un luogo un po' infelice dove darsi appuntamento, ma era l'unico valido, un vero e proprio punto di riferimento.
"Hey, Fernando!" gli andai incontro, porgendogli una mano, che lui battè.
"Ciao, Daniel".
"Com'è?" domandai.
"Abbastanza. E tu?".
"Anche" dissi. Ci guardammo. Lui si strofinò le mani sui pantaloni, agitato. Decisi di rompere il ghiaccio.
"Allora, andiamo?" proposi. Sorrise.
"Certo". Ci incamminammo.
"Sono riuscito a convincerla a farvi incontrare. Ci tenevo, sia per lei, che per te". Sorrise di nuovo.
"Cioè, in realtà ha fatto tutto da sola". Risi.
"Purtroppo stasera parte e oggi sarebbe stato l'unico giorno in cui tutti e tre potevamo uscire assieme".
"Come mai?".
"Be', io avevo degli impegni, da martedì a giovedì. Oggi parte e tu ieri non potevi".
"Poverina, avrà fatto i salti mortali!".
"No, non penso". Sorrisi.
"Ma dai, potevi dirmelo! Saremmo usciti ieri!".
"Ma no, va bene così".
"No, povera stella. Io ieri avevo un appuntamento con un mio amico".
"Uno spasimante..." scherzai. Sorrise, imbarazzato.
" Ma avrei potuto benissimo dargli buca".
"Ma come?" chiesi, stupito.
"Sì, è un cretino. Mi ha rovinato la giornata. Lasciamo perdere. Sono stato malissimo". Feci un'espressione dispiaciuta.
"Davvero, avrei pagato per uscire con voi. La prossima volta, avvisami".
"Non so se ci sará una prossima volta. Lei oggi, come ti ho appena detto, parte. E oltretutto non tornerà fino a Pasqua, quindi per quasi tre mesi non la vedrò".
"Oh. Mi dispiace".
"Va be'. Ormai sono abituato ad attendere così tanto tempo per lei. Ma quando ci reincontriamo, è una gioia!" dissi, con gli occhi lucidi. Mi sorrise.

Arrivammo al parco leggermente in ritardo, di un paio di minuti.
Vidi già Sonia in lontananza e un enorme sorriso comparì sulle mia labbra.
"Eccola..." sussurrai.
"La vedi?".
"Sì. È quella ragazza castana con il giubbotto rosso, laggiù ". Gliela indicai.
"Oh".
Accelerammo il passo.
E finalmente fummo faccia a faccia, io e lei, lei e Fernando.

Sonia

"Ciao!" esclamai, sorridendo.
"Ciao, piacere, Fernando" disse, porgendomi la mano.
"Piacere, sono Sonia". La strinsi.
Mi sorrise.
"A me non saluti?" pronunciò Daniel.
"Scusa, scusa". Mi avvicinai al mio ragazzo per baciarlo.
Vidi Fernando un po' imbarazzato. Appena lo notai, tornai al mio posto.
"Finalmente ti conosco! Daniel mi ha parlato molto di te" gli dissi.
"Ah si?". Guardai Daniel.
"Sì. Tutte cose belle, ovviamente".
"Lo spero!" disse Fernando, guardando Daniel. Risi.

Era un ragazzo molto carino. Aveva dei lineamenti graziosi, delle belle mani... oltretutto vestiva decentemente, non come gli altri ragazzi della loro età.
Apprezzai molto il suo portamento, le cose che raccontava furono molto interessanti, oltre che divertenti.
Mi trovai super bene con lui, tanto da trascurare un po' Daniel.
Pensai fosse lo stesso per Fernando. Anche lui preferì passare del tempo con me, forse per conoscermi, vista l'occasione. Ma lo vidi anche ridere alle mie battute.
Parlammo di scuola, di passioni, di noi.
Lui mi raccontò di amare le lingue e che suo padre era portoghese. Ma a lui, la lingua, non era stata insegnata e per tale motivo l'aveva imparata da sè.
"Ma dai, non ci credo!" dissi.
"Amo il portoghese. È la stessa cosa che sto cercando di fare io, sai?". Rise.
"Però io non lo so proprio parlare. Io parlo il polacco".
"Dimmi qualcosa in polacco" mi chiese.
"Be', andiamo sul classico: cześć, ciao".
"Oddio, che bel suono ha". Risi.
"E tu dimmi qualcosa in portoghese" domandai. Mi sussurrò qualcosa all'orecchio.
"E che significa?".
"Ciao, ovviamente". Risi.
Tra noi c'era un ottimo feeling.
Lo notò anche Daniel, evidentemente, perché per tutto il tempo rimase in disparte, dietro di noi, a mandare messaggi sul cellulare.

Al termine delle due ore fui dispiaciuta di non poter stare più in sua compagnia.
Mi ero trovata benissimo
"Grazie, Fer. Posso chiamarti Fer?". Rise.
"Certamente".
"Mi sono divertita un casino. Spero di rivederti presto".
"Anche io". Ci abbracciammo. Fu lui a prendere l'iniziativa.
Apprezzai. Mi strinse a sè.
Guardai Daniel, che ci stava fissando. Distolse lo sguardo.
"Allora buon viaggio". Ringraziai.
"E a te buona fortuna per tutto, Fer". A quel soprannome, Vidi Daniel rosicare.
Non capii la sua reazione.
"Tu adesso vai a casa?" mi domandò Fernando.
"Sì, devo fare anche in fretta. I miei mi ammazzeranno".
"Dai, ti accompagno" mi propose. I miei occhi iniziarono a brillare.
"Sempre se per Daniel non c'è nessun problema". Lui ci guardò.
"No, no. Anzi, devo proprio andare, ora".
"Ma dai, Dane! Vieni anche tu".
"Mi dispiace, non posso". Sorrisi, dispiaciuta.
"Allora salutiamoci adesso".
"Certamente". Corsi ad abbracciarlo e a baciarlo.
Fernando attese. Dopodiché ci incamminammo verso casa mia.

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