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Daniel

"Daniel, accompagno tua sorella dal fotografo" sentii pronunciare dalla voce di mia madre, giá davanti all'ingresso, pronta ad uscire di casa con Vanesa.
"Certo, ciao!" la salutai urlando dall'altra parte della casa.
Per Vanesa ormai era diventata la normalità dover andare dal fotografo. Era un po' come andare dal panettiere o dal fruttivendolo. L'unica cosa era che invece che pagare, ricevevi soldi.

Ero in camera mia, a studiare geometria. Avrei avuto l'ultima verifica del mese e avrei dovuto metterci solo po' di buona volontá.
Quel giorno mi sarei potuto prendere tutto il tempo: fuori grandinava e non avrei avuto nulla di particolare da fare. Anzi, una volta finito di studiare avrei pure dovuto occuparmi di cercarmi qualcos'altro da fare.

Dedicai quasi tre ore allo studio dettagliato e minuzioso della geometria solida, poi un veloce ripasso di qualche formula. Verso le cinque decisi che per quel sabato sarebbe bastato. Non riuscivo più a concentrarmi dopo tanti minuti.

La casa, intanto, si era svuotata: anche mio padre era uscito nel frattempo.
Era vuota anche come mobilio: i miei stavano proseguendo con il rifacimento della loro camera da letto, sospeso verso fine estate, e avevano cambiato anche armadi e comodini.

Un brontolio allo stomaco mi ricordò di dover mangiare. Avevo voglia di qualcosa di fresco, ma il brutto tempo mi impedì di raggiungere la gelateria nella via parallela.
Fuori iniziava a fare abbastanza caldo, anche se la pioggia favoriva l'abbassamento delle temperature. Alzai lo sguardo al cielo, scocciato. Probabilmente in frigo c'erano solo più gli yogurt che non piacevano a nessuno e che arrivavano in prossimità della scadenza fino a che non decidevo di cibarmene io, pur di non buttarli.

Decisi di uscire. La grandine aveva cessato di esserci, sostituita da una sottile pioggerella. Avrei fatto un po' di spesa per conto mio. Stavo morendo di fame, cosa che non accadeva mai .

Mi vestiii di fretta, lavai i denti, pettinai il mio ciuffo con i polpastrelli delle dia, mi misi le scarpe e uscii con le cuffiette alle orecchie e il lettore mp3 nella tasca dei pantaloni.
Mi recai di passo svelto al supermercato, ascoltando qualche canzone selezionata casualmente da una delle mie playlist.
Adoravo l'atmosfera che si era creata attorno a me: l'esile pioggia che solleticava la pelle del viso, il rumore dell'acqua che cadeva sui tetti e la musica, dolce, ad accompagnare il suono della prima.

Comprai delle cose pratiche, da mangiare anche poi in un secondo momento: dei gelati, qualche yogurt, della frutta secca, delle gallette di mais. Odiavo i cibi unti, per cui non avrei optato per delle patatine o dei cornetti nonostante sapessi che mia sorella ne fosse ghiotta.

Davanti all'uscita del supermercato incontrai una signora anziana in difficoltà con le borse della spesa. Sentii chiamarmi.
"Giovanotto, giovanotto! Per favore, aiutami". Mi volta verso di lei per poi avvicinarmi alla sua persona.
"Buongiorno. Di cosa ha bisogno?" domandai, gentilmente.
"Per favore, potresti aiutarmi a mettere queste borse nel mio carrello marrone?".
"Certo". Feci come mi aveva chiesto.
"Oh, e potresti anche chiuderlo?".
"Sì". Mi chinai per tirare la zip verso l'alto.
"Ti ringrazio così tanto".
"Di nulla". Nel porgermi una mano, lasciò cadere delle monete che teneva tra l'anulare ed il mignolo, precariamente.
Seguì il portafoglio.
"Oh, cosa ho combinato!" disse, avvicinando una mano alla sua bocca.
Mi chinai velocemente a raccogliere tutto. Presi le monete nel palmo della mano destra e le inserii nel portafoglio che tenevo con la sinistra.
Mi alzai e glielo porsi.
"Grazie mille. Sono così sbadata...". Sorrisi. Mi diede un paio di colpetti sulla spalla, con la sua mano.
Guardai a terra. C'erano ancora un paio di monete.
"Ecco, ci sono ancora queste qui". Gliele mostrai, tenendole saldamente tra indice e pollice.
"Tienili tu, caro. È il minimo per la gentilezza che mi hai mostrato".
"No, signora. Non li voglio. Ho solo fatto quello che era giusto" dissi.
"Non è vero. Molti ragazzi della tua etá non si sarebbero nemmeno fermati ad aiutarmi quando ti ho chiamato prima". Sorrisi.
"Dai, prendili" insistette.
"Si figuri. Va bene così" dissi, rifiutando la sua offerta. Quella volta fu lei a sorridermi. Numerose rughe profonde si andarono a formare attorno agli zigomi, sulla fronte e sul mento, segno dell'avanzare della sua vecchiaia.
"Che Dio ti benedica" disse.
Ringraziai.

Me ne andai a casa soddisfatto di aver fatto un bel gesto, di aver aiutato qualcuno che aveva avuto bisogno di un piccolissimo gesto che però aveva fatto la differenza.

Mentre passeggiavo verso casa, la pioggia cessò definitivamente di cadere, incurante della forte umidità che stava portando.
Al suo posto comparve il sole. A quel punto fu inevitabile non notare, in cielo, un bellissimo arcobaleno che circondava le colline torinesi con i suoi colori, leggermente sbiaditi per via della poca luce che solo negli ultimi minuti era comparsa attraverso le nubi.

Quando arrivai a casa, mi aspettava un'altra bellissima notizia: Sonia sarebbe tornata a Torino.
Mi aveva mandato un messaggio:
'Non voglio che smettiamo di vederci anche se litighiamo e se al momento abbiamo ancora degli argomenti di cui parlare e discussioni da concludere. Ma voglio farlo di persona.
Ciò significa che, anche se sono ancora un pochino arrabbiata con te, verrò a trovarti.
A presto'.

Sorrisi, spontaneamente. Era stata una bellissima sorpresa sapere che l'avrei vista a breve. E nonostante facesse la testarda, sapevo che se aveva deciso di farlo, era perché ci teneva a me.

La storia prima della storiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora