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Sonia

Passai tutto il pomeriggio, come previsto, a casa del mio ragazzo. Dovetti supplicare non poco mio padre per farmi rimanere da lui. Cercare le parole adatte per convincerlo a non farmi tornare a casa prima fu faticoso. Alla fine fui obbligata a ricorrere a un altro metodo per assicurarmi la permanenza: l'accento spagnolo della madre del mio ragazzo. Con quello fu impossibile non riuscire ad ottenere quello che volevo. Era irresistibile, troppo divertente da non inebriare con quelle esse morbide e le erre prolungate. Se non fosse stato per mia madre, avrei giurato che mio padre avesse, di nascosto, una cotta per la madre di Daniel. O per lo meno per il suo modo di parlare. Non era bello quello che avevo detto, ma non mi sarebbe dispiaciuto avere una madre come quella del mio fidanzato. Anche se, pensandoci bene, non sarei potuta essere la ragazza di Daniel, se fossimo stati fratello e sorella.

"Grazie, Maria Inés!" dissi, andando ad abbracciarla con un sorriso stampato in volto dopo la telefonata che aveva permesso il raggiungimento del mio obiettivo. Era fatta, mi sarei goduta uno strepitoso pomeriggio.
Per me María Inés era come una seconda madre, se non addirittura la prima. Mi trattava molto meglio della mia, ma non avrei potuto dirlo a nessuno.
"La tua mamma è sempre la tua mamma " mi avrebbe risposto chiunque a cui avessi svelato questo mio segreto.

"Prego, cariño". Ci rivolgemmo uno sguardo di intesa. Inés capiva come mi sentissi a non avere lo stesso rapporto che Iei aveva con Vanesa e Daniel. Alla nostra età era importante avere un punto di riferimento.
"Tra poco preparo il pranzo, è quasi mezzogiorno. Cosa ti piacerebbe mangiare per il tuo compleanno?".
Il mio compleanno. Me ne ero scordata fino al momento in cui le parole di Maria Inés non mi fecero venire in mente che in quel giorno avrei compiuto tredici anni.
"Auguri!" sentii gridare dietro di me, da una voce acuta accostata da una maschile. Mi girai di scatto, come se quella parola avesse scatenato una reazione a molla che mi obbligò a voltarmi.

Alle mie spalle, Vanesa mi stava aspettando con in mano una busta, dalle dimensioni tutt'altro che contenute; era piena di regali.

"Ragazzi...". Sorrisi, appoggiando una mano sulla guancia, arrossata per l'imbarazzo.
"Pensavi ce ne fossimo dimenticati, eh?" pronunciò la mia amica, ricambiando il sorriso. Il mio s'allargó ancora più di prima.
"Vieni, andiamo in salotto ad aprirli" mi consiglió poi, prendendomi per mano.
"Sonia, non hai risposto alla mia domanda!" sentenziò Maria Inés, attirando l'attenzione su di sè con un tono giocosamente serio.
"Oh, scusa. Per me va bene tutto" dissi, giocherellando con le dita delle mani, coperte da un lieve strato di sudore, formatosi per l'imbarazzo di essere al centro della scena in quella famiglia che mi dedicava moltissime attenzioni. In una bella giornata di fine ottobre non avrei potuto desiderare di meglio.
"Su, dimmi cosa vorresti. Il compleanno capita un solo giorno all'anno" mi fece notare.

Maria Inés era una donna bravissima a cucinare, se non addirittura incomparabile a chiunque conoscessi. Se non avessi saputo che faceva la pediatra, avrei creduto fosse una cuoca di professione.
"Ti va la pizza? Quella fa felici tutti" proposi.
"Certamente! Ricordami a cosa sei allergica, per favore" disse lei, schioccando le dita, come se quel gesto potesse farle venire in mente la soluzione al quesito.
"All'origano" le suggerii l'ingrediente.
"Ma come si può mangiare la pizza senza origano!?" sentii lamentare Vanesa alle mie spalle.
"Metterò il basilico, Vanesa" disse, sorridendo alla figlia, le braccia incrociate dolcemente al petto.

"Dai, vieni ad aprire i regali, adesso" mi suggerì Daniel, incalzandomi a farlo il prima possibile.
"Sono impaziente di scoprire se ti piaceranno o meno" parlo poi.
"Come potrebbe essere altrimenti? Arrivo!".
Mi diressi verso i ragazzi, giá sedutisi sul divano in salotto, con la busta appoggiata accanto a loro.
Daniel me la passó, facendo scricchiolare la borsa, di carta e coloratissima. La presi delicatamente tra le mani appoggiando queste ultime sui sottili manici, piccole treccine dalla pallida tonalitá beige. La aprii. All'interno vi erano tre pacchetti, piuttosto grossi.
"Uno è da parte mia, uno di Veba e uno dai miei genitori" precisó il mio ragazzo, vedendomi osservare stupita ciò che mi si presentava davanti.
"Quanta roba, non mi merito tutto questo" sussurrai, leccandomi le labbra per il nervosismo.
"Non dire così. Piuttosto aprili".

"Da quale devo cominciare per non offendere nessuno?"  mi domandai.
Alla fine misi una mano nella busta e, senza leggere i biglietti incollati sulla carta da regalo di ciascuno, estraetti un pacchetto, aprendolo sempre senza guardare.
Quando fui certa di aver strappato tutta la carta che lo avvolgeva, abbassai lo sguardo.

I miei occhi si posarono su un maglione. Era beige e celeste, di lana, morbidissimo e quasi aderente una volta addosso, ma con delle maniche non troppo strette.
"Questo è da parte mia" pronunciò la voce di Vanesa.
"Grazie Veba, mi piace moltissimo!". Lo indossai nell'immediato, sostituendolo alla vecchia felpa nera che avevo messo uscendo frettolosamente di casa.
"Meno male che ti piace". Sorrisi.

"Chissà quale prenderà adesso" disse lei, guardando Daniel, il quale stava sorridendo.
Infilai nuovamente la mano nella busta, estraendo un pacco dalla carta rossa e arancione.
"Ha! Ha! Non ha preso il tuo!" urlò Vanesa indicando prima il regalo che avevo fra le mani e poi suo fratello.
"Taci, Vanesa. Meglio così. I regali più belli è bene aprirli per ultimi" si vantó lui, lasciandola senza più alcuna battuta pronta.
Capii di conseguenza si trattasse del pensiero da parte di Maria Inés e Flavio, suo marito.

Era un puzzle da duemila pezzi di Granada, cittá natale di Daniel nonchè luogo di vacanza della famiglia durante i mesi estivi. Era da tantissimo tempo che avrei voluto farne uno, ma non avevo mai avuto il coraggio di chiederlo in regalo ai miei. In realtà ai miei genitori non avevo mai osato chiedere niente, per paura che i miei desideri fossero considerati sciocchi o frivoli. Ogni occasione era buona per sentirmi dire che mostravo troppo la mia infantilità nonostante non fossi ancora del tutto entrata nella fase adolescenziale.

"Non sei più una bambina" , mi ripetevano di continuo. Quasi più spesso di quanto una nonna non dicesse, al proprio nipote, di coprirsi che fa freddo.

"Grazie, Maria Inés!" le dissi, aprendo la porta del soggiorno e raggiungendola in cucina dove era intenta a tagliare delle cipolle per la pizza.
"Non c'è di che, tesoro". Mi rivolse uno sguardo, per poi riprendere a maneggiare col coltello, affilato, padroneggiato con maestria.

Posai lo sguardo sull'immagine raffigurante la città, di sera.
"È proprio bella" dissi. Ricambió il mio complimento con un sorriso dai bianchissimi denti. Quanto avrei voluto avere io un sorriso così, e invece mi toccava fare i conti con una dentatura di un brutto colore.

Tornai in soggiorno, senza mai smettere di analizzare la foto. Adoravo osservarne i particolari. E avrei adorato assemblarli tutti per dare vita ad una splendida fotografia in cartone.

"Bene, bene. Manca solo il mio" disse Daniel, sfregandosi le mani, scherzosamente.
"Già" risposi, sedendomi accanto a lui sul sofà.
Misi la mano nella borsa per la terza volta, estraendone l'ultimo contenuto.
Lo presi con delicatezza, sfiorandone con altrettanta gentilezza la superficie, liscia. Non era incartato, ma non si riusciva comunque a capire cosa fosse.  Provai più volte ad estrarlo dalla confezione, senza riuscirci; probabilmente perchè non stavo usando gli occhi per vedere cosa stessi facendo.
"Cosa stai combinando, perché non guardi? Ormai tanto si sa di chi è" mi disse Vanesa.
"Eh? Oh, già". Risero. Aprii gli occhi. A quel punto fu facilissimo capire dove si trovava l'apertura.

Estraetti il contenuto.
Era un set di trentasei matite ad acquerello di una celeberrima marca, oltretutto molto costosa.
Nella confezione erano presenti anche delle istruzioni dove venivano spiegate molte interessanti tecniche e suggerimenti per adoperarli.
"Oh, Dane. Grazie mille". Mi buttai sul divano, abbracciandolo e obbligandolo a sdraiarsi. Gli diedi un paio di baci sulle guance, a cui lui non potè sottrarsi.
"Prego, prego. Così potrai finalmente disegnare per bene, che so che ti piace un casino. Hai talento, devi coltivarlo".
Sorrisi.
"Grazie. Ora non ho più scuse" dissi.
Ricambiò il sorriso.
"E sai quale sarà la prima cosa che disegnerò?".
"No, dimmi".
"Voglio farti un ritratto. Ma non uno semplice, qualcosa di speciale".
"Hey, è difficile imitarmi, eh!" scherzò.
"Non vedo l'ora di vederlo quando sarà pronto" annunciò.
"Lo faró in Polonia e te lo porteró a fine dicembre, quando tornerò qui".
"Così ho scoperto anche il mio regalo di Natale!" disse lui. Risi.
"Ma no, quello è un extra". Gli sorrisi.

"Ragazzi, aiutatemi a stendere le pizze e a condirle. Ho già preparato l'impasto" ci sentimmo chiamare da Maria Inés che era stata indaffaratissima in cucina fino a quel momento.
"Chi arriva per primo non deve sparecchiare!" sentii urlare Vanesa, che si era alzata di scatto dal divano, dirigendosi di corsa verso la cucina.
Io e Daniel la raggiungemmo poco dopo camminando ad una velocità normale, consapevoli del fatto che lei avesse giá chiuso la gara, stravincendo su di noi.
Avevamo perso. Ma insieme.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now