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Sonia

6 ottobre 2014
Caro Dane,
È un po' che non ti scrivo. Mi riprometto ogni sera di sedermi alla scrivania a raccontarti la mia giornata, ma alla fine mi rendo conto che di cose da dirti, per il momento, non ne ho molte. Oltretutto ho tanto da studiare, devo fare ogni pomeriggio un'ora e mezza di lezioni extra di polacco per non rimanere indietro e quando arrivo a casa, poco prima dell'ora di cena, sono sempre stanca morta.
Tu come stai? E tua sorella? Ti sto scrivendo alle undici di sera, ma non potevo non farlo. Oggi è il suo compleanno! Chissà come starete festeggiando e cosa le avrai regalato. Spero che sappia che io non mi sono dimenticata che a partire da oggi, fino al prossimo anno, sarà considerata una dodicenne.
A me non piacque compiere dodici anni. Mi sembrò di essere cresciuta di più di anno rispetto agli undici. Sarà perché a dodici anni puoi guardare alcuni film che fino a quell'età sono vietati o perché alcuni medicinali non possono essere assunti prima di quell'anno di vita. O ancora perché mia nonna mi diceva sempre di non bere mai il caffè se non avevo compiuto la prima dozzina.
In ogni caso, spero che lei non ne faccia un'ossessione ( io ho vissuto con l'ansia per un mese!) e che viva spensieratamente la vita come ha sempre fatto.
Ora devo andare, Dane. È tardi ed i miei genitori mi stanno minacciando che se non spengo subito la luce mi mettono in punizione.
Buonanotte,
Sonia

Daniel

"Daniel, Daniel!" La voce di mia sorella, proveniente dal salotto, mi svegliò.
"Daniel, alzati, è il mio compleanno!". Si buttò di colpo sulle mie gambe. Mi tirai su di scatto a causa del dolore lancinante che sentii all'altezza del ginocchio.
"Ahia!" urlai, passandomi una mano sulle gambe, che mi parvero essere state calpestate da un trattore.
"Dai, vieni di là! Non voglio aprire i regali da sola".

Questa sì, che poteva essere considerata una vera e propria tortura. Non solo mi toccava svegliarmi alle sei perché mia sorella, elettrizzata dal compimento del suo dodicesimo anno di vita, mi aveva tenuto sveglio tutta la notte a causa della sua insonnia. Avrei dovuto anche sorbirmi la visione di mia sorella che scarta decine di regali. Questi ultimi erano anche di lontanissimi parenti e conoscenti 'sconosciuti' che si permettevano di ricordarsi soltanto del compleanno della più piccola di famiglia. Raramente il sottoscritto aveva potuto beneficiare di un regalo fatto al di fuori del contesto familiare.

"Dai! Vieni!". Iniziò a tirarmi un braccio per convincermi ad alzarmi.
Mi vidi obbligato ad accondiscendere per evitare che quest'ultimo mi venisse strappato dalla spalla.
"Arrivo, arrivo". Brancolai nel buio, tenendomi in piedi per miracolo. Stringendo la sua mano, che mi pose gentilmente per guidarmi, sperai di non cadere. Pregavo soltanto di arrivare in salotto senza sbattere contro la porta. Pregai male. Sentii, con dispiacere, il rumore dello stipite di quest'ultima che sbatté contro la mia tempia. Non seppi se il grido che cacciai fu per il dolore o per lo spavento.

"Guarda mamma cosa mi ha regalato!" disse, mostrandomi una macchina fotografica.
"Ma allora li hai già scartati!" chiesi, sconvolto.
"Si, alcuni. Perché?"domandò lei, nella sua innocenza.
"Ti ricordo che hai interrotto il mio sonno per andare ad aprire i regali. Non per farmeli vedere, cosa che può benissimo essere fatta dopo".
"Eh?". Probabilmente non aveva ascoltato una parola di ciò che le avevo detto.
"Potevi evitare di svegliarmi per farmeli vedere adesso, se tanto di pomeriggio sono a casa!" dissi, urlando.
"Aaah!" Esclamò lei, contenta di aver recepito quello che le avevo appena rispiegato.
"Oh. Va be', dai! Ormai sei qua. Vediamo gli altri" disse, rimettendosi in ginocchio per raccogliere un secondo regalo da terra.
"Ok..." bofonchiai, facendo seguire quell'affermazione da uno sbadiglio.

Dopo quasi un'ora Vanesa ebbe finalmente terminato di aprire i suoi molteplici regali. Non sto a raccontare le sue facce, una più stupita dell'altra, nel realizzare che il suo bottino comprendeva gli oggetti più svariati: un paio di stivaletti, un paio di paperine, un vestiti, un telefono nuovo da parte dei nonni, una macchina fotografica da parte dei nostri genitori, cinquanta euro da una zia, venti da una collega di lavoro di nostro padre, e molte altre cose che io nemmeno in cinque anni mi sarei sognato di ricevere. Poco male, era mia sorella minore. Certe cose me le sarei dovute aspettare.

"Veba, ora devo andare a prepararmi. Sono già le sette e venti".
"Oh. Okay".
"E tu non ti prepari?" domandai, vedendola riporre con eccessiva cura e calma i suoi regali dentro a ogni borsa corrispondente.
"No. Oggi io non vado a scuola" mi disse dirigendosi salterellando verso la camera da letto e sdraiandosi subito dopo nel lettone dei nostri genitori. A quella notizia rimasi a bocca aperta. Era il colmo. Va bene che io ero di luglio e il problema di dover andare a scuola nel giorno del mio compleanno non me lo ero mai posto. Ma anche fossi nato in un mese scolastico, quella fortuna non l'avevo mai avuta. Anzi, se solo mai mi fossi permesso di domandare una cosa del genere a nostra madre, avrei ricevuto una pedata nel sedere.

"Va be', ho capito. Io in ogni caso devo andare" dissi, cercando di mantenere la calma.
"Buona giornata" ebbe il coraggio di dirmi. Mi aveva provocato fin troppo.
"Buonanotte..." dissi a bassa voce, ironizzando.

Giunto in camera mia, mi resi conto di che ora fosse.
"Merda, le sette e trentacinque!?" imprecai, notando che la lancetta più lunga aveva quasi sovrastato quella corta.
Rimandando la colazione e masticando una cicca alla menta al posto di lavarmi i denti, mi vestii rapidamente per poi uscire e prendere il pullman, che sarebbe passato nell'arco di un paio di minuti. Non avrei potuto perdere tempo.

Arrivando puntualmente davanti a scuola, mi tranquillizzai nel rendermi conto che fossero le otto meno cinque minuti. Avevo fatto davvero in fretta.
Percorrendo il marciapiede della scuola, mi domandai se i miei amici fossero già riunitisi di fronte all'ingresso del liceo o se nessuno fosse ancora arrivato.
"Hey!" mi sentii salutare calorosamente da varie voci. Erano lí, come avevo pensato.

I momenti successivi allo 'scarto' dei regali di Vanesa erano passati così in fretta che non mi accorsi neppure che nel vestirmi, prepararmi e incamminarmi verso il pullman era passato meno tempo di quanto ne avessi dedicato poco prima a mia sorella.

A salutarmi, comunque, erano stati miei compagni di classe, appostati in massa davanti al cancello della scuola mentre aspettavano la sua imminente apertura.
"Ciao ragazzi" esordii.
"Come mai così tardi? Sono le otto meno cinque. Tu arrivi sempre a meno venti" mi fece notare Lucrezia, sempre precisa ed attenta nel correggere ogni malcapitato che, nel sostenere una conversazone con lei, si trovasse a sbagliare anche solo l'intonazione di una frase.
"Lo so. Ma ho avuto un contrattempo".
"Dovuto a cosa?".
"Era il compleanno di mia sorella".
"È il tuo compleanno di tua sorella. O dura solo poche ore?".
"Taaaac, si comincia!" pensai.
"Hai ragione" risposi tagliando corto. Dandole torto il discorso sarebbe durato ancora chissà quanto.

"Avete sentito l'ultima?" ci interruppe Agata. Lei era la pettegola della classe. Era quella che amava venire a conoscenza di voci e diffonderle indipendentemente dal loro grado di credibilità.
"No, qual è?".
"In questa scuola si è appena trasferito un ragazzo fighissimo".
"Ah sì? Voglio vederlo!" sentenziò Melissa. Lei, invece, era una bravissima ragazza, nè con la mania della precisione, nè pettegola. Ma aveva un brutto vizio: nonostante fosse fidanzata (non si era mai capito se felicemente o meno), andava alla ricerca di ragazzi da lei ritenuti super fighi. E dopo che li aveva trovati, dopo estenuanti esplorazioni, cercava di capire se potesse avere qualche chance con loro. Ma purtroppo riceveva ogni volta un due di picche. Forse per la sua spavalderia.

"È difficile incontrarlo. Entra sempre quando non c'è nessuno in giro. E poi si sanno pochissime cose sul suo conto" continuò Agata.
"O mio dio! Amo quelli misteriosi! Lui sembra un vero bad boy!" si eccitò Melissa. Evitai di mettermi una mano sulla fronte.

Sentii la campanella delle otto suonare e senza aspettare che gli altri mi seguissero a ruota, entrai velocemente in classe, provando a concedermi qualche minuto di relax da quelle discussioni da un lato divertenti, dall'altro assolutamente senza senso. A volte mi provocavano un forte mal di testa.

La storia prima della storiaTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon