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Sonia

Sospirai, leccandomi con nervosismo le labbra. Poi iniziai a parlare, cercando le parole giuste per non ferirlo. Sarebbe stato difficile, una delle cose più complicate che mi fosse capitato di fare. Ciò che stavo per raccontare non gli sarebbe piaciuto.

"Lo sapevo già da un mese, circa" confessai, osservando i suoi occhi riempirsi di collera. Le sue sopracciglia, sollevate, mostrarono incredulitá nei confronti delle parole che stavo pronunciando.
"Ma in realtà i miei me ne avevano parlato in modo molto superficiale, come se si trattasse di una cosa quasi irrealizzabile, una lontana ipotesi. Soltanto ieri mi hanno annunciato che la decisione è stata presa indipendentemente da ció che penso io. Ormai è così, partirò. E mi dispiace, non c'è nulla che si possa fare per prevenirlo. Io stessa ho tentato tante volte, ho cercato il momento e le parole giusti per provare a convincerli a restare qua, però hanno detto di no, che non è assolutamente possibile. Dobbiamo partire e lasciare l'Italia" sentenziai, consapevole di quanto le mie parole, udite dall'esterno, fossero state crude. Lo sapevo perché ero stata io la prima a sperimentare sulla pelle la loro brutalità quando, da un giorno all'altro, i miei genitori mi diedero la stessa notizia.

"Ma come... nulla è impossibile, tanto meno una cosa del genere. Se tu non vuoi partire, perché devi essere obbligata?". Abbassai lo sguardo, stringendo la mano sinistra in quella destra come se tale gesto potesse permettermi di darmi forza per trovare le parole giuste.
"Perché per la legge sono minorenne e sono tenuta a fare quello che i miei genitori decidono per me. Io, davvero, non posso mettermi contro di loro, lo sai meglio di me. Hanno la testa fatta in un certo modo e più cerco di oppormi, più loro desistono".
"E quando partirai?".
"Presto, Daniel. Prestissimo". Non me la sentii di precisare il momento, nonostante sapessi bene che mancava meno di una settimana. Preferii che la risposta fosse il più vaga possibile, per evitare di peggiorare la situazione. Lo vedevo già molto abbattuto per la mia partenza, annunciare definitivamente il giorno in cui avremmo smesso di vederci sarebbe stato devastante. Mi pentii di avergli mentito un ulteriore volta, ma decisi di non mostrarmi simcera, non ne valeva la pena.

"Quando... quando partirai?" insistette lui. A quel punto, notando il suo reale interesse a venire a conoscenza del fatto, mi vidi costretta a riflettere per un istante. Forse era il caso di dirglielo?

"Sonia?". Non sapendo che fare, replicai immediatamente, sputando fuori la risposta senza più esitare.
"Sabato".
"Sabato... questo?".
"Sì. In realtà già venerdì sera sarò in viaggio, l'aereo decollerà alle quattro del mattino". Lo vidi piegare la testa in avanti e coprirsi il volto con i palmi delle mani.
"Era per questo che ti ho detto che non sarei potuta venire a vederti ballare, nonostante per me sarebbe stato bello". Feci una smorfia con la bocca, ad esprimere disappunto.
"Adesso ho capito".
"Mi dispiace così tanto, Daniel" confessai.
"Anche a me, Sonia. Però sappi che ti amo e ti ameró lo stesso, anche se vivremo a migliaia di chilometri di distanza". Sorrisi, accarezzandogli una spalla. Trattenne a stento un sospiro, segno evidente del suo sconforto. Mi sentivo così impotente, in quell'istante. Lo avevo soltanto ferito.

"Però potrò venire a trovarti per tutti e tre i mesi delle vacanze estive e anche nelle due settimane natalizie. Oh, e anche altre volte, se lo vorrai" cercai di consolarlo, convincendolo che in qualche modo ci saremmo potuti vedere.
"Certamente". Annuì, poi stette in silenzio osservando il mio volto per qualche istante. Furono i nostri sguardi a comunicare, e sostituirono qualsiasi parola.
"Mi mancherai un casino" disse poi lui, quasi sussurrando. Ci abbracciammo, accennando entrambi due timidi sorrisi.

Vanesa comparve in camera, probabilmente dopo aver attentamente origliato al di là della porta.
"Hey, che succede? "chiese fingendo ingenuità.
"Niente di che" dissi, separandomi dalla stretta nella quale mi aveva avvolta Daniel, poi guardai il mio ragazzo che, mio complice, fece finta di nulla.
"Ah okay" pronunciò, sedendosi accanto a noi.
"Dov'eri finita?" domandò suo fratello.
"A posare il vassoio. L'ho anche lavato" si vantò, aspettandosi un complimento da parte sua.
"Hai fatto il tuo dovere" disse lui, rivolgendole uno sguardo serio.
Vanesa alzò gli occhi al cielo, poi gli fece una smorfia.
"Arrivo, vado un attimo in bagno" ci disse poi, alzandosi e saltellando energicamente via.
"Okay, ti aspettiamo qui" dissi.
Uscì, chiudendo la porta con non troppa grazia.

"Daniel, pensi di dirglielo?"gli chiesi, non appena io e il mio ragazzo rimanemmo di nuovo soli.
"Certo che sì, ma magari dopo. Altrimenti penserá che si tratti di uno scherzo".
"D'accordo". Sorrisi, dispiaciuta. Le lacrime mi riempirono gli occhi.
"Non piangere, dai" mi sussurrò Daniel.
"Come faccio? Sono così triste..." sentenziai, tirando su col naso.
"Stai tranquilla. Non sarà l'ultima volta che ci vedremo, prima della tua partenza, no?".
"Penso di no... posso venire a trovarti ancora?".
"Ma certo. Non c'è bisogno che tu me lo chieda".
"Ti ringrazio". Mi baciò la fronte.
"Non sei arrabbiato con me?" chiesi per accertarmi che fosse tutto a posto fra noi. I suoi sorrisi non troppo allegri mi sembravano essere stati fatti solo per compiacermi.
"Perché dovrei esserlo?".
"Perché non ho avuto il coraggio di parlartene in precedenza. Di sicuro non avremmo sofferto così tanto nel separarci, sapendolo prima".
"Non fa niente". Scosse il capo.

"E dimmi, com'è il tempo lì, in Polonia?" fece che cambiare discorso.
"Fa freddo. Freddissimo, nel posto dove andremo noi. È a nord est".
"Temperature invernali?".
"Beh, di notte anche meno venti".
"Stai scherzando, vero?".
"No, alcune volte è capitato. Spero di non diventare un ghiacciolo". Ridemmo.
"Almeno vedrai la vera neve".
"Già, li nevica spessissimo, d'inverno".
"E il cibo com'è?". Tossii, evidenziando una situazione di imbarazzo. Non mi piaceva per nulla la cucina polacca.
"Ehm.. diciamo che si mangiano tanti salumi, tramezzini e zuppe" dissi per non offendere una tradizione culinaria differente dalla mia anche se non mi attirava in particolar modo.
"Però fanno anche i ravioli. Mi pare si chiamino pierogi. Quelli sono deliziosi".
"E di cosa sono fatti?".
"Sono ripieni. Possono essere farciti di carne, patate, formaggio e conditi con burro, cipolla, panna acida o strutto" elencai a raffica gli ingredienti.
"Che orrore! Ho sempre detto che tu hai un'idea di buono molto particolare". Risi.
"La cosa bella però è che i miei di sicuro a casa cucineranno normale".
"In che senso ...normale?".
"Italiano!". Rise. Quella volta non ebbi dubbi sulla genuinità della sua risata.

"Ci chiameremo tutte le sere, vero?" domandó per sincerarsene.
"Certamente, Dane. Anche di mattina, prima di andare a scuola, se avrai voglia e tempo. Lì l'ora è la stessa".
" Ovvio" disse.
"E tu tienimi aggiornato sulla scuola, eh? E sulle compagne e i ragazzi". Scoppiai a ridere, pensando a quanto fosse stato sciocco a preoccuparsi per la possibilità che potessi tradirlo con un altro.
"E tu sulla danza". Ci lanciammo un'occhiata d'intesa.
"Affare fatto".

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now