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Daniel

All'improvviso sentii un cellulare squillare. Esso irruppe fastidiosamente, interrompendo il silenzio nel quale eravamo immersi. Di sottofondo, una lieve musica jazz si sentiva a malapena. Riconobbi la suoneria: era quella di Tommaso.
Questi si affrettó a rispondere, estraendo lo smartphone dalla tasca del suo giubbotto, rischiando anche di farlo cadere. Doveva essere una chiamata importante. L'espressione sul suo viso si fece più vigile, sveglia.
Andrea, intanto, giocherellava con la cannuccia rossa inserita nel suo bicchiere semi vuoto.

"Pronto?" inizió la conversazione. Sembrava agitato.
Dopo circa un minuto di dialogo riattaccó, ma non seppi minimamente di cosa avesse parlato, nemmeno con chi avesse sostenuto quella conversazione.
Dopo poco disse a entrambi che era stata sua madre a chiamarlo.
"Che ti ha detto?" chiesi, vedendolo non poco preoccupato.
"Mi ha chiesto dove mi trovoi, mi vuole a casa il prima possibile" dichiarò, guardandomi negli occhi e cercando quella comprensione che solo io avrei potuto dargli. Sembrava scosso.
"Ma come, è presto!" esclamai, stupito.
"Lo so, ma dobbiamo partire. Passeremo le vacanze di Natale dai parenti e devo aiutare i miei a preparare le valigie. Domani abbiamo il volo e quindi...". Tommaso sembrava quasi chiedermi, con tono supplichevole, di fare qualcosa per evitargli il supplizio delle valigie. Odiava farle.

"Ah" dissi, non sapendo che pesci pigliare. La presenza di Andrea mi metteva in soggezione. In quel momento mi stava osservando seduto su una sedia, gomito sul tavolo, palmo della mano sul viso dalla pelle liscia.
"Paghi tu, il conto dell'altra volta al bar qua vicino, vero?" domandò, senza pudore. Lo guardai alzando un sopracciglio.
"Sì, mi pare ovvio" risposi ironizzando, poi tirai fuori dal portafoglio i soldi che mi erano precedentemente stati dati da mia madre, sventolandoli per aria.

"Bene. Io devo scappare. Ci vediamo il prossimo anno" annunciò Tommaso, sollevandosi dalla sedia e afferrando il suo cappotto grigio fumo. Mi chiedevo dove l'avesse comprato.
"Ma come... te ne vai così, senza dirmi niente? Non mi avevi neppure avvisato della tua partenza, in questi giorni. Guarda che un mese senza vederci è lungo" dissi.
"Scusa, l'ho saputo solo stamattina. E poi dai, che te ne fai di me? Sopravvivi benissimo senza, idiota" mi disse, sollevando per aria una mano, che strinsi.
"Ciao, Tom. Buon viaggio".
"Grazie". Ci abbracciammo. Ne approfittai per chiedergli, sussurrando in un orecchio, cosa dovessi fare con Andrea. Mi rispose che dovevo fare quello che mi sentivo. Bella risposta, molto confortante.

Prese poi il borsone e uscì frettolosamente, non prima di aver salutato Andrea che ricambiò con un sorriso.

"Tu e lui siete amici da tanto tempo?" mi domandó Andrea, facendomi tornare alla realtà. Avevo seguito con lo sguardo Tommaso allontanarsi da noi, fuori, sul marciapiede.
"Eh? No, solo da pochi mesi" risposi, tornando a prestargli attenzione.
"Sembrate molto legati".
"Grazie" risposi cercando di essere il più distaccato possibile, non guardandolo negli occhi nè sorridendogli come invece stava facendo lui. Ma mi riusciva difficile fare il finto duro. In fondo, Andrea era simpatico.

"Ti va se usciamo a fare un giro o vuoi mangiare qualcos'altro?" mi domandò, sistemandosi la sciarpa rosso corallo attorno al collo, esile.
"No, no. Andiamo pure" risposi.
Mi avviai verso l'uscita e Andrea, sollevatosi poco dopo di me dalla sedia di fronte alla mia, mi seguì.

Uscimmo dal bar, notando che avesse ricominciato a piovere. In quell'anno, l'autunno era stato infernale.
"Meno male che ho un ombrello con me" disse Andrea, aprendolo sopra le nostre teste. Mi scansai, indossando il cappuccio della mia felpa. Mi guardó in cagnesco, non comprendendo la ragione del mio gesto.
"Non vuoi venire anche tu sotto?" mi domandó.
"No, va bene così" risposi, cercando in tutti i modi di non mostrarmi troppo cordiale. Ma alla fine, mi stavo solo facendo una magra figura. Lo aveva fatto per me, mica per infastidirmi.

Mi ero stupito io stesso del mio comportamento. Ero passato dal volerlo conoscere e cercare di essere gentile e amichevole con lui, a provare fastidio nei confronti della sua persona. Era troppo perfetto, nei modi di fare, nelle cose che diceva. Oltretutto mi sembrava che volesse avvicinarsi a me, fisicamente, e questa cosa mi turbava.
Non ero omofobo, non mi dava fastidio il fatto che fosse gay. Ma ricordavo a me stesso che fossi fidanzato. Non dovevo cedere ai suoi tentativi di stabilire un contatto con me perché forse mi trovava carino. Io non amavo i ragazzi, lui non mi piaceva e non volevo in alcun modo dare l'idea che in qualche modo potesse avere delle speranze con me.

"Allora, dove andiamo adesso?" mi chiese, inserendo una mano nella tasca mentre nell'altra teneva saldamente il suo ombrello blu avio.
"Non lo so. Dovrei andare a saldare un conto qua di fronte al bar, ma andrò domani. Tu dove vuoi andare, che diluvia?" domandai.
Lui sorrise.
"Ma io amo la pioggia. Una delle cose che più adoro fare è camminare sotto la pioggia ascoltando la musica".
Mi sorpresi nel sentire quella frase. Aveva la mia stessa idea sulla questione. Anche io adoravo passeggiare con le cuffiette alle orecchie nelle giornate uggiose.

"Ah sì? Sei particolare" risposi.
"Giá. A te non piace?".
"Più o meno. Cioè, non ho mai provato" mentii.
"E cosa ti piace fare?" mi chiese, cercando di ottenere risposte più esplicite da parte mia.
"In che senso?".
"Oltre alla danza. Mi hai parlato solo di quello".
"Boh, non lo so. Stare con mia sorella e la mia ragazza" risposi, rimanendo vago.
"Ah, wow. Capisco. Devi essere molto legato a loro" disse, saltando agilmente una pozza d'acqua dal diametro notevole.
"Giá".
"E come si chiama tua sorella?".
"Vanesa".
"Bel nome". Sorrise di nuovo. Non so se l'avesse detto per cercare di sembrare gentile o se lo pensasse davvero.
Non era un nome che si sentiva spesso, e frequentemente la gente, nel sentire come si chiamasse, non poteva evitare di chiederci se si scrivesse con una o due esse.

"L'ho scelto io" sentenziai.
"Hai avuto buon gusto". Mi fece l'occhiolino. Mentre parlavamo, fu inevitabile incamminarsi da qualche parte, pur non avendo una meta precisa.

"Tu invece? Cosa mi dici di più di te?" girai la frittata.
"Oh, nulla di che". Era stato scaltro nel darmi quella risposta.
"E tu sei fidanzato da tanto, vero?".
"Sí, con Fabio ormai è un anno e mezzo".
"Ah, capito". Dissi, soddisfatto di aver finalmente ottenuto una conferma da lui stesso.
"E vi vedete spesso?".
"No, purtroppo. Io abito lontano da qui, mentre lui abita da queste parti. Quindi per noi è difficile vedersi".
"Ma andate a scuola assieme?" domandai fingendo di non essere a conoscenza dei fatti, ma sapendo in realtà benissimo che Fabio non veniva nella nostra scuola.
"Abbiamo orari completamente diversi. Oltretutto ci passiamo un anno, per cui non siamo in classe assieme e usciamo in momenti diversi". Non rispose alla mia domanda.
"Ma come... in che scuola vai? Io ti ho già visto" dissi, spontaneamente. Mi maledissi subito dopo. Sarebbe stato meglio se avessi indagato da solo sulla menzogna che mi aveva raccontato.
Era ovvio che se glielo avessi chiesto esplicitamente avrebbe cercato delle scuse.
"No, io non ti ho mai visto prima". Sorrise.
"Forse ti confondi con uno che mi somiglia".
"Può darsi" conclusi non molto convinto, analizzando con attenzione il suo volto, convintissimo di averlo già visto.
"Ah, vorrei chiederti una cosa riguardo a ciò, se non sono indiscreto".
"Certo, dimmi pure".
"Ma non ti da fastidio che Fabio cerchi in ogni modo di nascondere la vostra relazione?".
"No, non fa nulla. Se preferisce così, allora mi adatto. In fondo mi va bene lo stesso" mi rispose facendo spallucce.
"Non è una cosa da tutti. Se lo avesse fatto con me, io lo avrei già scaricato" esposi la mia opinione anche se non mi era stata domandata.
"È una cosa che mi dicono in tanti. Pensano tutti che io sia folle. Ma non m'importa". Sorrise.

"Sei coraggioso".
Mi rivolse un ennesimo sorriso, bellissimo, che non potei evitare di ammirare per qualche frazione di secondo.
Poi ritornai in me. A volte mi dimenticavo che lui era gay e ogni gesto che mi rivolgeva ero certo si trattasse di un'esca che usava per mettermi alla prova e capire se con me potesse avere qualche possibilità. Era fidanzato, ma non sapevo cosa potesse tramare. Del resto, nella sua testa non avrei avuto accesso.
E un po' per evitare di dargli false speranze, un po' per salvare me stesso, cercavo sempre di rimanere sulle mie. Ma avevo capito quanto ciò si stesse rivelando complicato.

La storia prima della storiaWhere stories live. Discover now