2 - La festa (II)

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«Serve una mano?».

Mi si spezzò il respiro, quando sentii una voce roca e divertita alle mie spalle. La mia testa scattò istintivamente nella direzione di quel suono, per associare un volto a quella domanda, e la mia mano si bloccò a mezz'aria, con le dita ancora contratte attorno a quell'ammasso di carta ruvida e bagnata.

Stava cercando di non scoppiare a ridere. Quello fu il primo dettaglio che notai del ragazzo davanti a me. E realizzai che il suo tentativo di rimanere impassibile era totalmente inutile, perché l'angolo della sua bocca si tendeva verso una fossetta incastonata sulla sua guancia destra.

Mi osservava divertito, con le caviglie incrociate e una spalla piantata alla colonna che divideva la cucina dal corridoio. Se non mi fossi trovata in quella situazione: a rubare kleenex nella cucina di qualche riccone, bagnando di acqua e di cloro ogni oggetto nel raggio di due metri, credo che lo avrei deriso anche io per quella posa granitica che aveva assunto.

«No grazie» mi affrettai a dire, distogliendo lo sguardo e riportandolo sulle mie gambe. Chissà cosa avrebbe pensato di una sconosciuta completamente zuppa d'acqua e rintanata in una stanza vuota, mentre il resto degli studenti festeggiava proprio lì accanto. Preferivo non pensarci.

«Sicura?» Lo sentii dire.

Mentre si avvicinava, il rumore dei suoi passi lenti sovrastò il fruscio dei fazzoletti che ancora muovevo distrattamente su ogni zona del mio corpo. Non mi ero accorta di quanto fosse alto, finché la sua ombra non si proiettò su di me. Centimetro dopo centimetro, la luce lasciò le mie braccia scoperte, mentre io ero ancora lì, continuando a sfregare la mia pelle, con i miei sensi immotivatamente in allerta sui suoi movimenti.

Non si fermò accanto a me. Così come se n'era andata, la luce tornò a far riflettere le goccioline d'acqua che costellavano il mio corpo, mentre il ragazzo mi superava disinvolto, andando ad arrestarsi solo di fronte all'immenso frigorifero incastrato all'angolo del bancone. Lanciai un'occhiata nella sua direzione e lo vidi aprire l'anta, osservando svogliatamente il contenuto.

Aveva piantato la mano sul lato del frigorifero, mentre il braccio flesso si contraeva al tamburellare delle sue dita sulla plastica dura. «Sicura che non ti serva aiuto?» ripeté con una nota di divertimento nella voce.

Mi accorsi in quel momento che stavo passando il tovagliolo per la quindicesima volta nello stesso punto e mi affrettai ad abbassare lo sguardo. «Sicura» confermai, imponendomi di smetterla di battere i denti. Sapevo che la temperatura dentro quella casa fosse più che accettabile, ma il mio corpo sembrava non rendersene conto. Non mentre il tessuto di quel maglione aderiva gelido alla mia pelle.

Con la coda dell'occhio, vidi lo sportello richiudersi. Lo sconosciuto doveva aver trovato ciò che stava cercando, perché lo schiocco tipico dell'apertura di una lattina spezzò il silenzio di quella stanza.

«Vai alla Churchill Accademy?» mi chiese con tono noncurante. E, mentre facevo segno di sì con la testa, percepii la sua voce avvicinarsi nuovamente a me.

Continuai a tamponare le mie gambe, senza sollevare lo sguardo dalle mani che cercavano di raggiungere ogni angolo possibile. Ero talmente bagnata, che più passavo quei fazzolettini, più sentivo di spargere l'acqua ovunque. Ne presi un altro, soffiando piano il mio nervosismo, in un paio di parole mormorate sottovoce.

«E tu?» mi affrettai ad aggiungere per non essere scortese. «Vai anche tu alla Churchill?».

Le mie premure si rivelarono completamente inutili perché il ragazzo non si degnò neppure di rispondermi. «Hai intenzione di finire tutti i tovaglioli di questa casa?» chiese pensieroso, mentre si appoggiava al bancone della cucina. Ma il suo tono non sembrava infastidito. Forse più... più ironico.

IGNIWhere stories live. Discover now