14 - L'invito

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Regola n. 2 dei V.I.
Cassie non può essere costretta a fare
amicizia con i nuovi compagni di classe
(Nove anni, Doha)

Sussistevano almeno due segnali, piccoli ma inequivocabili, a indicazione che stessi lentamente impazzendo.

In primo luogo, neppure dopo due giorni passati a riempirmi la testa di nozioni scientifiche e testi di letteratura, ero riuscita a togliermi dalla mente che quel medaglione disegnato sull'invito alla festa in maschera rappresentasse una semplice coincidenza.

Secondariamente, ciò che mi faceva maggiormente temere per la mia salute mentale, era la consapevolezza che ci fosse un'unica persona che poteva confermare le mie deliranti ipotesi riguardanti i medaglioni. E ogni volta che quel nome impattava la mia scatola cranica uno sbuffo nervoso lasciava le mie labbra.

Alexander Case.

Non m'importava se dopo la gita al Wenham Lake sembravamo aver instaurato una sorta di tregua. La naturale propensione a non volermi fidare delle persone non faceva altro che aumentare, quando avevo a che fare individui sfuggenti come lui. Magari potevo superare questo mio limite con Alice, o con Dean e Caleb, che mi fornivano tutte le rassicurazioni di cui avevo bisogno. Con lui, però, mi riusciva molto più difficile.

Per quello avevo provato a ignorare quell'informazione. A rinchiudere quei discorsi deliranti, in quella scatola del cervello sigillata da una generosa dose di imbarazzo e di buonsenso. Alle fine, però, mi ero resa conto di aver passato gli ultimi due giorni, trascinandomi da una lezione all'altra sempre con quei pensieri a distrarmi da tutto il resto. Il che naturalmente non aveva incentivato la mia carriera scolastica.

«Signorina Reed, sottragga gli ottusi». La voce della Cooper, la docente di matematica, mi riscosse dai miei pensieri. Ero impalata di fronte alla lavagna, con un gesso stretto tra le mani e una serie di numeri senza significato davanti agli occhi. «Gli ottusi». Il suo indice laccato di rosso indicò un punto imprecisato di fronte al mio viso. «Li sottragga!» mi intimò con tono esasperato. «Magari potessi farlo nella vita reale» la sentii borbottare, mentre mi osservava torva.

Il suono acuto della campanella che decretava la fine delle lezioni mi salvò da una figuraccia certa.

«Per dopodomani voglio tutti gli esercizi dal numero quaranta al cinquantacinque». La sentii minacciare, mentre mi affrettavo a tornare al mio posto. «Pena un pomeriggio di detenzione proprio il giorno della festa di halloween».

Borbottii di malcontento riempirono l'aria, ma la Cooper faceva abbastanza paura da non permettere agli studenti di schierarsi apertamente contro le sue parole. Minacciare di non farci partecipare a una delle feste studentesche era un po' oltre i suoi poteri, ma nessuno metteva in dubbio che ci sarebbe riuscita, se solo avessimo osato sfidarla.

«Ti servono ripetizioni, luce dei miei occhi?». Dean si sbilanciò pericolosamente con la sedia, appoggiando i gomiti al mio banco. Il suo viso morbido era contratto in un'espressione comprensiva. «La matematica può essere tosta».

Non erano le funzioni goniometriche il mio problema e non era di ripetizioni che avevo bisogno. Spegnere il cervello: quello doveva essere il mio obiettivo primario.

«Credo di avere un calo di zuccheri» mentii, afferrando la borsa da sotto il tavolo. Ancora non mi ero abituata a lasciarla nell'armadietto come facevano tutti i miei compagni. «Ci vediamo più tardi» lo liquidai, con un cenno confuso della mano.

Avevo resistito due giorni. Due giorni nei quali non avevo fatto altro che ricordarmi quanto sarebbe stato imbarazzante riaprire quel discorso con Alex, ma adesso basta. Basta paranoie, basta problemi. Se avesse voluto ridere di me, lo avrebbe fatto in ogni caso.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora