41 - L'effrazione (II)

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Le parole di Philip accarezzarono i miei timpani in maniera tremendamente sbagliata.

«Alex mi ha detto che dai ripetizioni di informatica.»

Alzai uno sguardo carico di risentimento in direzione di Alex, ma lui era già sparito. L'irritazione ardeva sulle mie guance. Mi aveva detto che si sarebbe occupato di preparare un diversivo per il resto della scuola, ma non aveva esitato a usare il medesimo trucco anche con me. E lo sguardo stranito di Philip non fece altro che convincermi che lui non era neppure a conoscenza di essere stato usato.

Odiavo quando si comportava così. Odiavo la sua capacità di ammaliare le persone e portarle a fare ciò che voleva lui, come era accaduto poco fa con la signorina Pierce. E quando sapeva di non poterle convincere, semplicemente trovava un altro modo.

Scossi la testa cercando di liberare la mente dai quei pensieri. Avevo poco tempo. I miei occhi vagarono fino all'imponente orologio d'oro che svettava al centro della stanza. Mancavano solamente otto minuti prima del suono della seconda campanella.

«Credo che Alex abbia capito male» mentii. «Sono io ad aver bisogno di ripetizioni.» Simulai una rapida espressione rammaricata. Era il massimo che potevo concedergli prima di muovermi in direzione dell'uscita.

Philip e i suoi capelli ingellati però, non sembravano volersi arrendere. «Bene, cerchiamo un tutor insieme.» Mi sorrise. Era sempre fastidiosamente ottimista.

«Credo che chiederò a suo padre a dire il vero, sai ho uno stage con lui» farfugliai.

Non sapevo ancora come, ma Alex non l'avrebbe passata liscia questa volta. Dovevo riordinare le mie priorità, possibilmente con vendetta e medaglioni ai primi posti.

«Comunque ti faccio sapere» aggiunsi liquidandolo con un gesto distratto, mentre il mio cervello era impegnato nel ricordare quali scale portassero al piano dedicato all'amministrazione. La Churchill Accademy era troppo grande e io ero qui da troppo poco tempo.

Non gli diedi il tempo di rispondere e svoltai a destra, lanciandomi sui gradini con le orecchie tese a captare ogni più piccolo rumore, mentre la mia mente continuava a ripetermi che dovevo stare attenta perché lì io non ci sarei dovuta essere.

Un'insolita tranquillità regnava però tra quei corridoi. Le porte degli uffici erano tutte spalancate, ma un irreale silenzio accompagnava i miei passi esitanti. Per un istante pensai che fosse la vicinanza con l'ufficio del preside a rendere tutti così mansueti, ma quando i miei occhi si posarono oltre le ampie finestre, mettendo a fuoco il cortile, capii che non era quello il motivo.

Il piano doveva essere vuoto perché tutti si erano riversati all'esterno per assistere alla scena che mi aveva lasciata a bocca aperta.

Grossi rotoli di carta igienica e budinosa schiuma bianca avevano avvolto alberi, macchine e persino panchine, come una nuvola soffice che aveva inghiottito l'intero parcheggio del corpo docenti.

«Ma cosa...» mormorai vedendo quello scenario. Era questo il diversivo? Far infuriare tutto il personale della Churchill Accademy?

Dovevo ammettere però, che con quella scelta scenografica, avevano centrato l'obiettivo. Essendo una scuola privata il buon nome era tutto, e il preside Evans non avrebbe mai ignorato uno scherzo del genere. Soprattutto considerando che alcuni studenti erano già appostati sul vicino marciapiede e sembravano intenti a registrare video e foto. Presto tutta Danvers avrebbe saputo di ciò che stava succedendo a scuola.

Alcuni rumori alle mie spalle mi fecero sobbalzare e portarono i miei piedi a muoversi frenetici verso il capo opposto del corridoio. Dovevo muovermi, perché rimanere ferma nell'atrio era quanto di più stupido potessi fare.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora