37 - Cassie (I)

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Potrei dire tante cose su di me.

Potrei dire che amo la sensazione di calore sulla pelle, ma quando la luce del sole colpisce di netto il mio viso mi sento a disagio. Potrei dire che quando piove i miei occhi virano sul grigio, e diventano più simili a quelli di James.

Che odio il cioccolato, ma insieme alle patatine lo mangio comunque.

Che conosco a memoria tutti gli episodi di La signora in giallo perché zia Jenna ne guarda uno al giorno.

Potrei dire tante cose su di me, ma se ce n'è una che ho imparato da poco è che sono come il vino. Ho bisogno di decantare.

Non so se la mia incapacità nel gestire le emozioni dipenda dal fatto di essere figlia unica o dall'aver evitato per tanti anni il contatto con il resto del mondo.

A volte però sento che è troppo. E allora, ho imparato ad avere pazienza. Mi isolo e aspetto che il mio corpo si liberi progressivamente di tutta quell'energia che sento traboccare e che non so come gestire.

E così avevo fatto per tutto il week end.

Al mio rientro a casa quel sabato mattina, James mi aveva fissata senza dire una parola. Avevo provato a dare una spiegazione per la mia nottata fuori casa. Avevo balbettato qualche frase, ricercando tra le pieghe del suo volto un piccolo accenno di comprensione che però non avevo trovato.

Era rimasto una maschera impassibile. I suoi occhi come trasparenti alle mie spiegazioni. Non aveva urlato, non mi aveva neppure rimproverata. Si era voltato ed era uscito di casa, facendomi sentire ancora più minuscola e insignificante di quanto già non fossi.

Non devo piangere.

Alzai gli occhi al cielo e inspirai forte, prima di varcare la soglia della Churchill Accademy.

Piantai gli occhi al suolo, scivolando tra le chiacchiere rumorose che precedevano l'inizio delle lezioni.

I compiti del professor Webb. La ricerca per la signorina Davis. Le equazioni della professoressa Cooper. I miei quaderni erano perfettamente ordinati, ogni singola parola ricamata con cura su quelle pagine bianche.

Mi rifugiavo sempre nello studio quando ero triste. Ero in grado di passare giornate intere chiusa in camera, senza parlare con nessuno. Solamente libri e serie tv a comporre una rassicurante barriera tra me e il mondo esterno.

Lasciai cadere a terra lo zaino accanto al mio armadietto e i miei occhi si scontrarono con un paio di stivaletti firmati.

Alzai lo sguardo, sapendo già chi avrei trovato di fronte a me. Alice sembrava turbata. Un velo di sconcerto a pennellare i suoi tratti.

«Stai bene?» Sondò con gli occhi chiari la mia figura, guardandomi apprensiva, quasi diffidente. Forse perché aveva già individuato da sola la risposta a quella domanda.

Feci un piccolo cenno affermativo con il capo. Non ero pronta a lasciarmi andare con lei, a maggior ragione ora che ero rimasta così scottata dal comportamento di Alex.

Ero stata forse più dura con lui rispetto a tutti gli altri. Lo avevo ripetutamente messo alla prova, avevo messo in dubbio la mia fiducia più volte, ma alla fine lo avevo lasciato avvicinare più di tutti. E forse per quello, sentivo di essere stata presa in giro così tanto.

Aveva mentito per tutto il tempo? Quella era la domanda che continuava a tormentarmi. Aveva giocato a fare il detective con me quando già conosceva le risposte alle nostre domande? Non potevo saperlo e, in fondo, non gli avevo neppure dato modo di spiegarsi.

«Smettila» sbottò Alice. Prese a tamburellare con il piede, osservandomi torva. «Smettila di nasconderti.»

Non contemplava la possibilità di lasciar perdere, perché le persone generalmente si comportavano esattamente come voleva lei. Sorrisi mestamente. Un po' invidiavo quella sua sicurezza che non la abbandonava mai.

IGNIWhere stories live. Discover now