27 - Trick or Treat (I)

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Non ero riuscita a sfuggire alle cheerleader.

Alice mi aveva chiamata quel sabato pomeriggio. Di fatto rimangiandosi le parole con le quali mi aveva dispensata dalla prima partita in programma, aveva aperto i cancelli del decimo girone dantesco: quello creato appositamente per imporre tremende torture a una persona timida come me, che non voleva far altro che evitare i riflettori.

Lo so, avrei potuto rifiutarmi, inventare una scusa o fingere un malore improvviso, ma la realtà era che, se anche avessi voluto scappare dalla partita di football, non avevo la benché minima intenzione di rischiare di non presentarmi alla festa di Halloween. Soprattutto, visti i programmi miei e di Alex.

Per quello, ora mi trovavo lì. Alice mi aveva catapultata nello spogliatoio della Churchill Accademy, subito prima di avermi avvolta da una nuvola di lacca e aver messo a dura prova i miei timpani con canzoni sparate a tutto volume per caricarci e, alla fine, ero stata costretta ad infilare un completino blu e argento che non avrei scelto neppure sotto tortura.

La stavo ascoltando distrattamente però. Non aveva smesso per un solo istante di blaterare della partita, dei ragazzi della squadra avversaria e della festa che si sarebbe tenuta subito dopo. E sapevo che mi sarei dovuta interessare al suo discorso, o quantomeno fingermi coinvolta dai suoi tentativi di rassicurarmi. Io però non riuscivo a staccare gli occhi dalla mia figura riflessa nello specchio un po' sbeccato, accanto alla finestra che dava sull'angusto cortile interno.

Ero a Danvers già da qualche mese. Avevo partecipato a feste, compleanni, gite al Wenham Lake e persino a un tirocinio alle Industrie Case. Eppure, quella fu la prima volta nella quale mi sentii davvero parte di quella cittadina. Voglio dire, all'inizio avevo fatto di tutto per non lasciarmi coinvolgere, per comportarmi esattamente come in ogni altro luogo che avevo visitato, ma adesso, infagottata con i colori della città e pronta per andare in campo insieme a una decina di altre ragazze del mio corso, mi sentivo davvero come se avessi tradito tutte le mie convinzioni.

«Tra dieci minuti dobbiamo entrare» mi avvisò Alice, passando distrattamente le dita in mezzo ad alcune ciocche per pettinarle.

Mi costrinsi a staccare lo sguardo dalla mia immagine, mentre finivo di sistemare il fiocchetto blu che teneva raccolta la parte superiore dei miei capelli.

«Prendo una boccata d'aria» le comunicai, prima di scivolare fuori dalla stanza. Avevo bisogno di una pausa da tutte quelle ragazze entusiaste per la prima partita della stagione.

Il corridoio era un agglomerato di sorrisi entusiasti e chiacchiere allegre, ma nessuno mi fermò, mentre raggiungevo seconda porta in legno situata a qualche metro dal campo. La aprii con circospezione, perché effettivamente l'idea di imbucarmi nello spogliatoio maschile, ovvero un covo di ragazzi con l'adrenalina a palla, non mi sembrava poi una grande idea. Dalla mia posizione però, sembrava che la stanza fosse mezza vuota, probabilmente perché gran parte della squadra si trovava già in campo.

«Abbiamo un'imbucata qui. Qualcuno avvisi il Coach Russell» esclamò Caleb quando mi vide entrare. Era impalato di fronte a un borsone nero e stava finendo di allacciare con gesti decisi alcune ingombranti protezioni alle spalle. Aveva parlato con un tono allarmato, ma, quando mi avvicinai, notai che i lineamenti del suo viso erano distesi.

Decisi quindi di ignorare le sue parole, e puntai una panca vicino a lui, proprio mentre Dean si avvicinava osservandomi divertito. Sentivo la testa leggera come quando mio padre rischiava di beccarmi a fare una maratona di serie tv, invece di studiare, e il mio cervello sembrava che si fosse fatto una dose di adrenalina per amplificare i sensi. Insomma, quei momenti nei quali uno svenimento era proprio dietro l'angolo.

«Siete agitati?» chiesi piano, incrociando le gambe. La mia parte egoista sperava in una risposta positiva, che mi avrebbe fatta sentire meno sola.

IGNIWhere stories live. Discover now