33 - La calma prima della tempesta

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«Passerotto, mi ricordi perché sei entrata nelle cheerleader, se ami fare sport quanto io amo le telefonate della mia ex suocera?»

James stava davvero tentando di capire come la sua goffa figlia fosse stata incastrata in un'attività ricreativa di gruppo contro la sua volontà.

«Ovviamente senza offesa, Jenna» aggiunse subito, guardando di sottecchi mia zia che intingeva i biscotti nel latte con la stessa vivacità di un robot.

Lei schiaffeggiò distrattamente l'aria, come se l'idea non l'avesse neppure sfiorata. D'altronde, neanche Jenna riusciva ad andare d'accordo con i miei intransigenti nonni.

Gli occhi di entrambi tornarono a concentrarsi su di me. «La risposta è nepotismo» esalai scandendo bene le parole. Stavo terminando di riempire il mio borsone con i ricambi che avrei dovuto portare alla partita di football e continuavo a ricontrollare di aver preso tutto, impilando i vestiti in maniera lievemente ossessiva.

Credevo che mi sarei sentita meno agitata questa volta, dopotutto avevo già avuto il mio battesimo del campo, come amava chiamarlo Alice. Eppure, il pensiero di trovarmi faccia a faccia con i Lupi di Beverly riusciva a rendermi inquieta. La presenza di Caleb nella squadra, il giro di scommesse, la reputazione che li precedeva... Avevo tutte le ragioni per credere che qualcosa sarebbe potuto andare storto.

L'unica nota positiva era la consapevolezza che non mi sarei dovuta preoccupare per Alex, perché non c'era possibilità che rimanesse a vedere la partita quel giorno.

I miei occhi si mossero in un moto involontario verso il cellulare incastrato tra la mia tazza di cereali e i pompon argento. Lo schermo era rimasto spento da quando James mi aveva cercata la sera prima, costringendomi ad abbandonare le ricerche con Alex.

Mio padre tossicchiò, appoggiando la tazza di caffè fumante che teneva tra le mani. «In che senso nepotismo

La sua domanda mi riportò a pensieri meno tormentosi. Feci un piccolo sospiro e appoggiai sulla sedia la felpa della squadra, prima di voltarmi verso di lui. I miei occhi indugiarono per qualche istante sul quell'orribile camicia da boscaiolo blu e nera che indossava, prima di posarsi sul suo volto.

«Alice ha chiesto al preside Evans, che poi sarebbe suo nonno, di farmi entrare nelle cheerleader, nonostante la mia pessima performance alle selezioni» spiegai con tono mesto. I balletti a bordo campo erano davvero l'ultimo dei miei problemi quel giorno.

James però continuava a non capire. Aveva il cipiglio di un picchio arrabbiato, le spesse sopracciglia scure contratte in un misto di incredulità e fastidio. «Non credo sia eticamente corretto» borbottò, riprendendo a sorseggiare il suo caffè.

Mi lasciai sfuggire un sorriso, osservandolo mentre portava alle labbra la tazza con la scritta "sei il papà migliore del mondo".

Jenna annuì, dichiarandosi d'accordo con lui e io infilai letteralmente la testa nel borsone, per evitare di specificare cosa se ne sarebbe fatta Alice dell'etica da loro tanto decantata.

Mi affrettai con urgenza verso la porta, carica della moltitudine di zaini e sacchetti che mi accompagnavano a ogni allenamento.

«Credo che farò tardi stasera» li informai, rimanendo sul vago. La partita si sarebbe tenuta subito dopo le lezioni, ma speravo che la mia giornata si concludesse nella villa dei Case, più precisamente, di fronte al computer di Alex, e dovevo iniziare a preparare una scusa. 

«Stendili tutti, cipollotta» schioccò mio padre, prima che io raggiungessi la porta.

***

IGNIWhere stories live. Discover now