24 - Ricerche

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Siamo incredibilmente sopravvissuti alla fine del mondo... quindi ora vi beccate il capitolo.
Buon inizio settimana❣️
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«Pulcino, non te lo ripeterò un'altra volta. Prova la febbre».

James mi fissava ostinato. La sua insoddisfazione per il mio comportamento poco collaborativo si rifletteva nelle braccia conserte e negli occhi infossati, coperti dalle spesse sopracciglia che si tendevano e corrucciavano a intervalli alterni, durante quel nostro battibeccare che ormai perdurava da almeno una decina di minuti.

«Sto bene, papà» esalai, cercando di ignorare l'ennesimo nominativo degno di una bambina di cinque anni.

Era una bugia. Non stavo affatto bene: gli incubi non mi facevano riposare da settimane e l'ansia mi stava divorando. Una persona abituata a viaggiare per il mondo dovrebbe saper gestire i cambiamenti, no? Beh, io evidentemente non ne ero in grado. Mi ero ormai arresa a quella consapevolezza.

James poteva ripetermi tutte le volte che voleva "ti abituerai, Cassie", ma in ogni nuova città, per me diventava sempre più difficile. Danvers era difficile.

«Adesso chiamo il signor Case e gli dico che non vai allo stage» sentenziò, facendo orecchie da mercante, nonostante le mie proteste.

Era la terza volta che ripeteva quelle parole e a nulla erano valsi i miei tentativi di dissuaderlo. E anche in quel frangente, le mie opzioni si erano ridotte a una plateale alzata di occhi al cielo, invocando una pazienza che sapevo notoriamente di non avere.

«Papà, sto bene» ripetei, con tutta la convinzione della quale ero capace.

Con la velocità di una commessa che deve scansionare gli ultimi prodotti in offerta, lui però si limitò ad avvicinare il termometro a infrarossi alla mia fronte. Probabilmente erano mesi che voleva testarlo su qualcuno.

«37.8 Cassandra. Tu non esci».

Un sibilo uscì dalle mie labbra, mentre mi lasciavo cadere sui cuscini, esausta per quel confronto di prima mattina. C'era qualcosa di peggiore del rimanere a casa per una giornata intera, da sola, a rimuginare? Un toccasana per la mia salute mentale, insomma. Speravo quantomeno che Jenna avesse ricomprato gli yogurt al pistacchio che mi aveva rubato.

***

Il suono insistente del campanello di casa Parker trapanò le mie tempie, svegliandomi.

Provai ad ignorarlo una prima volta, e poi una seconda, ma quel dannato rumore però continuava a vibrare sordo e in maniera talmente insistente da sentirlo rimbalzare persino all'interno della mia scatola cranica.

Sbattei le palpebre tremolanti un paio di volte, mentre le mie iridi si abituavano al chiarore che filtrava dalle persiane. Dovevo aver dormito per diverse ore, perché la luce era calda e morbida, segno che il sole era abbastanza alto da superare la boscaglia del nostro giardino sul retro. E in quel momento pensai che ci fosse una sottile ingiustizia, nell'essere ammalata proprio l'unico giorno di sole dell'intero Stato del Massachusetts.

E mentre quei pensieri affollavano la mia testa, il campanello suonò nuovamente.

Mugugnai qualcosa di indistinto, che si perse sotto allo sbuffo nervoso con il quale mi sollevai dalle coperte. L'unica persona che bussava alla nostra porta era Luke, il postino della via, che puntualmente si fermava a chiacchierare con James del campionato di hockey. Io però non ero mio padre, e non avevo neppure la minima idea di quanti giocatori servissero per praticare tale sport.

Mi trascinai per le scale, stropicciandomi gli occhi. Il rumore dei miei passi ovattati da un paio di spessi calzini natalizi prematuramente indossati, e nei miei gesti svogliati il chiaro atteggiamento di chi era stato ingiustamente buttato fuori dal letto, nonostante la febbre e i tremori.

IGNIWhere stories live. Discover now