28- Trick or Treat (II)

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Sentivo solo le labbra di Alex sulle mie. Le sue mani tra i miei capelli.

«Ragazzi, non potete stare qui.»

Mi staccai di scatto, muovendo un passo indietro e i miei occhi sgranati saettarono verso la figura di fronte a noi, mentre cercavo inutilmente di regolarizzare il mio respiro.

Perché il mio corpo stava reagendo con tutti quei brividi che sentivo rincorrersi sulla mia pelle?

Era il panico, mi dissi. Il panico di essere stati scoperti all'interno della scuola, ben lontani dalla festa di Halloween.

L'uomo dinanzi a noi sembrava una guardia giurata, e teneva la torcia ancora alzata a mezz'aria, rendendo di fatto impossibile scorgere il suo volto.

Alex mi passò un braccio attorno alle spalle, tirandomi a sé. «Ci scusi, signore. Ci siamo lasciati prendere» disse con tono arrogante.

Era un buon piano il suo. L'unica possibilità di passarla liscia era fingerci due semplici ragazzi che avevano cercato un posto per appartarsi. E allora perché continuavo a sentirmi così in ansia?

Lentamente, l'uomo abbassò la torcia e si avvicinò. «Case, è mai possibile che ti trovi sempre in giro?»

Per la prima volta, alzai gli occhi su Alex. La luce della torcia scolpiva il suo volto, definendo i contorni taglienti del suo profilo.

Lo vidi articolare un sorrisino, totalmente rilassato, nonostante la situazione. «Meglio passare del tempo qui, piuttosto che a casa, John.» Il suo tono non tradiva alcuna emozione, ma sembrava che tra i due ci fosse una sorta di comunicazione silenziosa a me estranea.

L'uomo sospirò sonoramente, passandosi una mano sulla fronte. «Uscite da quella porta di emergenza» ci ordinò infine rassegnato, facendoci segno di allontanarci.

Per qualche assurda ragione però, io continuavo a rimanere immobile. Non sapevo cosa diavolo fosse successo negli ultimi cinque minuti, ma il mio corpo sembrava incapace di rispondere ai comandi del mio cervello. 

Perché dovevo reagire in quel modo? Eravamo salvi, perché non riuscivo a liberarmi di quella tensione che sentivo appesantire l'aria attorno a me?

Probabilmente Alex si accorse della mia indecisione, perché intrecciò le sue dita alle mie e mi guidò oltre l'uscita di sicurezza. Credo che stesse cercando di tranquillizzarmi, perché il suo pollice disegnava lenti semicerchi sul dorso della mia mano. Ma invece di calmarmi, quel gesto non faceva altro che alimentare il mio nervosismo. 

Quando raggiungemmo l'esterno, l'aria fredda mi investì, infilandosi nei miei polmoni e ridando ossigeno al mio cervello.

Alex lasciò la mia mano e si spostò di qualche metro, come a voler prendere le distanze da quello che era appena successo.

Fu un gesto naturale, perché non c'era più bisogno che continuassimo con quella farsa, ma ebbe comunque il sapore di un rifiuto. 

In quel momento, avrei voluto dirgli che non ero una stupida, e che sapevo che lo aveva fatto semplicemente per salvarci. Ma mi sentivo frastornata, e le parole si perdevano in un punto imprecisato tra la mia testa e la mia bocca.

«Hai trovato qualcosa nell'armadietto di Matt?» chiese interrompendo i miei pensieri.

Scossi la testa. «Non lo so ancora» risposi tornando a concentrarmi sui vaghi appunti che avevo visto, «tu?»

Alex fece un sorrisino e aprì con uno scatto il giubbotto antiproiettile. «I vantaggi di un abbigliamento tattico» scherzò.

Aveva estratto un piccolo libricino nero senza copertina. Nel suo essere anonimo, mi sembrava stranamente famigliare, come se lo avessi già visto da qualche parte. Era accuratamente sigillato da un cordoncino in tessuto. Troppo ordinato per essere passato nelle mani di Caleb.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora