38 - Cassie (II)

7.3K 516 1K
                                    

«Tuo padre è davvero furioso, Cassie.» Jenna assottigliò le labbra nel pronunciare quelle parole. Prese tra le mani una pila di vestiti e iniziò a dividerli in alcune scatole di cartone.

Mi stropicciai il volto in un gesto di frustrazione. «Lo so.»

Lo sguardo deluso di James era ancora impresso nella mia mente. Nessun messaggio, nessun tentativo di comunicare con me, da quanto si era trasferito da Lauren quel sabato mattina.

«So di aver sbagliato, ma non ho fatto apposta. E poi ero a casa di un amico» cercai di giustificarmi, ignorando la fitta che sentivo ogni volta che pensavo ad Alex.

Jenna mi raggiunse, sedendosi al tavolo bianco della cucina con un'aria comprensiva. «Capisco che tu la veda così, tesoro» esordì con un lieve sorriso, «ma tu sei tutto ciò che gli è rimasto.» Mi guardava come se fossi la cosa più preziosa del mondo e per un attimo mi chiesi cosa avessi fatto di buono nella vita per meritare una persona come lei. Per quanto fosse imprevedibile e a volte eccentrica, era stata il mio unico punto fisso per tanto tempo.

«Mi dispiace così tanto» mormorai piano. Aveva ragione, non aveva senso nascondersi dietro patetiche scuse.

Jenna spostò la mano sul ripiano per stringere la mia. «Lo so, e per questo sono sicura che risolverete tutto. Solo, dagli un po' di tempo» disse rassicurante.

Restituii la stretta con gratitudine, incapace di aggiungere altro, ma fu lei ad alleggerire la situazione come al solito. «E nel mentre, puoi iniziare a scontare la tua punizione, aiutandomi a scegliere i vestiti da donare all'asta di beneficenza.» Batté le mani tra di loro, con un entusiasmo che mi ricordava quello di Alice.

Abbozzai un sorriso e la seguii verso il bancone della cucina, dove una miriade di stoffe colorate erano impilate in malo modo.

«Inizia da quelli» disse indicando una serie di grucce di varie dimensioni.

Guardai senza troppa convinzione un'abbondante gonna ricoperta di piume celesti. «Hai, ehm, qualche preferenza o posso scegliere io?» balbettai, passando a osservare un tubino di paillettes argento.

Jenna fece un gesto confuso della mano. «Fai tu, ho un sacco di abiti da sera che non mi sembrano molto adatti a questa cittadina» commentò distrattamente, intenta a valutare un top in pizzo che non avrei indossato neppure sotto tortura.

Che non fossero adatti a Danvers era un eufemismo. La immaginai fare la spesa da Target con il vestito a sirena rosa shocking che avevo tra le mani, e non riuscii a nascondere una risatina.

Per qualche minuto lavorammo in silenzio, lei troppo concentrata e io troppo divertita per fare conversazione.

«Questo lo terrei, non è male.» Sfiorai delicatamente la stoffa di un elegante vestito blu. Il morbido tulle ricadeva come una nuvola all'altezza dei piedi, ma era molto semplice rispetto allo stile di Jenna.

Lei voltò il capo brevemente, prima di tornare a concentrarsi sulla sua scatola. «Oh, quello l'ho indossato la scorsa primavera al matrimonio di tua madre. Ho avuto un tale caldo...»

Non sentii il resto della frase perché il mio cervello era rimasto incastrato, bloccato nell'incapacità di metabolizzare quelle parole.

"Il matrimonio di tua madre."

Le mie nocche si strinsero attorno alla stoffa finemente ricamata, senza riuscire davvero a metterla a fuoco, perché il dolore per quell'ammissione mi velò gli occhi.

"Il matrimonio di tua madre."

Sentivo la gola serrata, il mio respiro che si affannava alla ricerca di ossigeno che però il mio corpo non sembrava in grado di assorbire. Perché non ero in grado di superare questa cosa? Ogni volta che qualcuno parlava di mia madre io semplicemente perdevo il controllo.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora