21 - Blackout

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Regola n. 7 del V.I.
Le baguette si mangiano rigorosamente a morsi, camminando per strada.
(Quattordici anni, Lione)

Accusai la ritirata di Alex con un nodo allo stomaco che non riuscivo a capire. Aveva lasciato la classe a testa bassa, senza l'ombra di spiegazione e il benché minimo cenno di saluto.

Le parole con le quali avevo cercato di sedare lo scontro tra lui e Caleb erano rimaste a vibrare basse, supplicanti e totalmente inascoltate, perché Alex le aveva ignorate, così come aveva ignorato tutto il resto.

Solo il ritmico scatto del suo pollice contro l'accendino mi aveva chiaramente mostrato il livello di nervosismo che stava cercando di nascondere. Non sapevo ancora il perché di quella reazione, ma iniziavo a sospettare che fosse successo qualcosa tra loro due che ancora non sapevo. Qualcosa che non aveva a che fare con una semplice antipatia gratuita.

«Sempre gentile, eh».

La voce di Caleb arrivò secca e insofferente alle mie orecchie. Stava scuotendo vigorosamente la testa, come se non riuscisse a capacitarsi di ciò che aveva appena visto. Eppure percepii qualcosa di artefatto in quell'indignazione così accentuata. Non poteva pensare che fossi così sciocca da non aver notato la tensione tra loro due.

Mi limitai a rimanere in silenzio e presi il quaderno che Alex aveva lasciato sul tavolo nella fretta di andarsene. Non me la sentivo di giudicarlo, ma la mia indole curiosa non mi permetteva neppure di ignorare completamente il suo comportamento. E in pochi secondi, l'interesse surclassò il buonsenso.

«Perché vi odiate tanto, voi due?» chiesi di getto.

Caleb s'irrigidì e la mano ancora premuta sul mio banco fremette; un chiaro segnale che avessi fatto centro. Per un attimo, sembrò in apnea e mi parve quasi di scorgere l'affanno nei suoi occhi, mentre cercava una risposta alle mie parole.

«Case odia tutti» borbottò alla fine, a mo' di giustificazione.

Non era vero, e un po' mi feriva che Caleb non avesse neppure tentato di darmi una spiegazione o di ammettere semplicemente che non erano affari miei. Forse Alex non era la persona più affabile che conoscessi, certo, ma quegli scontri accadevano solo quando c'era Caleb di mezzo e quando i due erano da soli. Come due colori troppo forti che riuscivano a mischiarsi solo se adeguatamente stemperati nell'acqua, e cozzavano invece quando nulla si frapponeva tra di loro.

«Cassie...» Caleb richiamò la mia attenzione con un tono così cauto che fui costretta a ruotare il viso nella sua direzione.

Il modo in cui i suoi occhi si erano infossati e aveva tirato le labbra mostrava un'apprensione che non riuscivo a capire del tutto.

«...solo, stai attenta con lui».

Lo guardai assorta per qualche istante. Non avevo l'impressione che Caleb volesse screditarlo, quanto che stesse cercando di dirmi di stare alla larga da Alex. Ma perché? Perché si permetteva quelle insinuazioni velate, senza però volermi rivelare nulla?

Prima che avessi l'opportunità di chiederglielo, Caleb si affrettò a cambiare discorso. «Allora, sono riuscito a convincerti a uscire stasera?» mi chiese con un gran sorriso. La sua espressione contenta, però, non era stata minimamente in grado di coinvolgere gli occhi, che continuarono a fissarmi prudenti mentre c'incamminavamo verso il corridoio centrale.

«Domani» mediai, stringendomi le spalle in segno di scusa. Era la seconda volta in una settimana che davo buca sia a lui che a Dean, e iniziavo a sentirmi in colpa. «Questa sera ho una cena di benvenuto per mia zia Jenna» spiegai, ripensando all'incontro del giorno precedente.

IGNIWhere stories live. Discover now