12 - Leggende

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Costellavamo il salotto della baita degli Evans, come i rimasugli di una pioggia di meteoriti finiti per sbaglio su Danvers.

Io di traverso sul divano in pelle, Alice con la testa appoggiata sulla mia pancia e le gambe sopra quelle di Dean. Alex, Matt e Caleb che si spartivano invece il secondo divano e la poltrona imbottita, in un ordine sparso che non intendevo verificare perché gli occhi erano troppo pesanti per pensare di poterli aprire.

«Mi fa male la testa» si lamentò Alice.

«A me gira tutto» fu la replica di Dean.

Ridacchiai, strizzando gli occhi e godendomi quella sensazione di leggerezza di spirito e di testa. Era tardi, forse l'una o le due di notte, e complice il buio pesto della foresta eravamo rimasti per una buona mezz'ora fuori sul patio a osservare le stelle che brillavano luminose. Era stata una bella serata, indipendentemente dai giochi alcolici alla Churchill Accademy o dal fatto che Dean avesse minacciato di vomitare a ogni curva che ci aveva condotti fino a lì.

Credo che fossimo tutti sul punto di addormentarci, perché i borbottii si facevano sempre più radi e strascicati, anche se sentivo distrattamente Alice e Caleb che battibeccavano circa il numero di bicchierini che aveva bevuto anche quella sera. Ormai, però, eravamo consapevoli che avesse non solo una bassa resistenza alcolica, ma anche una limitata capacità di controllarsi.

Approfittai di quella tranquillità per rubare la bottiglietta d'acqua di Alice e piazzarmela in fronte, beandomi di quella sensazione di freschezza sulla pelle. A dire la verità, non stavo poi così male. Dopo i "sette shot in paradiso" mi ero assicurata di passare la serata evitando qualsiasi forma d'alcol e, soprattutto, Alex.

A essere onesta, non sapevo perché lo avessi fatto. Era stata una sorta di risposta istintiva alla tensione che avevo avvertito quando mi aveva posto quella domanda: hai più pensato ai medaglioni?

Era strano, perché dal modo in cui il suo tono si era abbassato e i suoi occhi avevano lasciato stillare una curiosità sospetta, avevo l'impressione che ci fosse una sorta di segreto tra di noi. E forse quella era anche la ragione per la quale non avevo parlato né con Alice, né con Caleb di quella coincidenza. Mi fidavo di loro, ma c'era comunque qualcosa che mi frenava.

In ogni caso, i miei sforzi per evitarlo si erano rivelati del tutto superflui, perché non appena appena i suoi piedi avevano varcato la soglia dello spogliatoio, ero tornata a essere improvvisamente invisibile agli occhi di Alex. Inesistente come la sua simpatia. Irreale come l'autocontrollo della signorina Davis. Il nulla insomma.

Aveva chiesto a Philip di scusarsi.

Continuavo a pensarci e non sapevo neppure io il perché. Mi sembrava un bel gesto, eppure aveva comunque cercato di nasconderlo e non riuscivo a capirne il motivo. Scossi la testa, con l'intenzione di schiarirmi le idee. Dovevo smetterla di cercare un senso al suo comportamento altalenante.

Mi guardai attorno, mentre le voci dei ragazzi continuavano a cullarmi con toni sempre più flebili e impastati. La casa degli Evans era un magnifico piccolo chalet interamente costruito in legno e in pietra. Accanto a me, un camino rustico riscaldava l'ambiente, mentre sul lato opposto della stanza una grande libreria copriva quasi totalmente la parete. Mi sollevai un po' sulle braccia, per leggere alcuni di quei titoli. "Robinson Crusoe", "Alice in Wonderland", "La Fondazione di Danvers" ... Involontariamente, feci una smorfia divertita nel vedere quel volume malridotto accostato ai grandi classici.

«Che c'è?».

Caleb rotolò sul fianco, avvicinando i nostri volti appoggiati proprio dove i due divani si incontravano, formando un angolo retto. Dal suo sguardo curioso, capii che la mia reazione non era affatto passata inosservata.

IGNIWhere stories live. Discover now