44 - Fratellanza (II)

8K 426 820
                                    



«Perché avete disegnato il vecchio percorso di Wild Bear?»

Sbarrai gli occhi. Era questo Cassiopea? Il riferimento di un percorso chiamato Wild Bear? E soprattutto, perché Christian lo conosceva?

Alex sembrò razionalizzare quelle informazioni molto più velocemente rispetto a me, ma doveva essere giunto alla mia stessa conclusione, perché, mentre io stavo ancora mettendo insieme tutti i pezzi nella mia testa, lui aveva già fatto un passo in direzione del fratello.

Strappò il foglio dalle mani di Christian con un gesto secco, accartocciando lievemente i bordi tra le dita. Poi le parole traboccarono dalle sue labbra una alla volta, con una lentezza angosciante, che non sarebbe stata altrettanto sinistra se avesse semplicemente alzato la voce.

«Come fai a conoscere questo posto?» sussurrò.

Christian lo guardò confuso. Se stesse solamente recitando una parte, si sarebbe aggiudicato l'oscar alla miglior interpretazione, perché sembrava totalmente spiazzato da quella reazione. Abbassò il braccio con il quale aveva sventolato il foglio di fronte ai nostri occhi e fece un passo indietro. «Davvero non te lo ricordi?» Aveva gli occhi lievemente sgranati e la sua solita aria strafottente era stata rimpiazzata da uno sguardo sbalordito.

Vidi la mano di Alex tremare per un istante, anche se il suo volto non lasciava trasparire alcuna emozione. Come sempre del resto. Ma io lo sapevo, che non gli piaceva, quando non aveva il controllo della situazione.

«Esattamente cosa dovrei ricordare?» Ricambiava lo sguardo sconcertato di Christian con schegge di manifesta diffidenza. Il foglio era ormai diventato una pallina antistress tra le sue dita.

Christian fece un altro passo indietro, senza staccare gli occhi dal fratello, poi si voltò verso la libreria e recuperò una fotografia seminascosta dietro alcuni libri. Passò il polsino della felpa sul vetro, lucidandolo con una delicatezza che non mi sarei mai aspettata da lui.

«Andavamo sempre insieme a lei» rispose, allungando la cornice argento ad Alex.

Non capivo cosa stesse succedendo, non capivo di cosa stessero parlando...chi era lei?

Inconsapevolmente mi avvicinai un poco, per mettere a fuoco l'immagine. Un bambino seduto su grosso sasso era ritratto mentre sorrideva alla fotocamera. Una massa informe di riccioli scuri evidenziava due occhi chiarissimi che avrei riconosciuto ovunque. Accanto a lui, una ragazza dai lunghi capelli biondi che si libravano al vento era accucciata su due larghi stivali in gomma e salutava l'obiettivo, ridendo. Sorrisi involontariamente anche io, perché era una foto troppo dolce per non intenerirsi un po'.

Tornai a concentrarmi sui loro volti. Non potevo dire che fossero simili perché, anche da piccolo, Alex era la copia esatta di suo padre, ma avevano qualcosa nel modo in cui entrambi sorridevano, che mi fece capire all'istante che la donna fosse sua madre.

«Ve l'ho scattata io con la macchinetta usa e getta di papà.» Christian si avvicinò di nuovo ad Alex. Forse anche lui aveva pensato che così concentrato sulla fotografia, sembrasse un po' meno ostile, rispetto a prima. «Tu avevi circa quattro anni ed eravamo appena tornati in città dopo i mesi a New York» aggiunse.

«Credevo che fossimo ad Aspen dai nonni» lo interruppe Alex, senza alzare lo sguardo.

Christian scosse la testa. «Non siamo andati quell'anno.»

Il silenzio calò sulla stanza e io mi sentii in una di quelle situazioni solenni, dove il decoro ti impone di rimanere serio, ma a te viene solamente una gran voglia di ridere.

Volevo ridere perché mi trovavo nella stanza di un ragazzo che conoscevo da poco più di due mesi, mentre cercavamo di collegare delle informazioni relative alla sua infanzia con dei vecchi miti del periodo dei padri pellegrini. E per giunta, stavamo coinvolgendo anche suo fratello, sempre che in realtà non fosse proprio lui che ci stava nascondendo qualcosa... Cosa mi stava facendo Danvers?

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora