11 - Sette shots in paradiso (II)

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«Scusa, puoi ripetere?» chiesi, perplessa.

Alice si arrotolò una ciocca attorno al dito con fare annoiato, mentre prendeva posto a terra accanto a Jessica. «Sette shot in paradiso! Non dirmi che non hai mai giocato» ribatté con un sorrisino furbo.

Figuriamoci. Era ovvio che non ne avessi mai neppure sentito parlare. Dovevo forse ricordarle che i colleghi di James al massimo potevano proporre antichi giochi egizi o romani?

Aggrottai la fronte, sforzandomi di pensare velocemente per recuperare terreno. «Ho sentito parlare di sette minuti in paradiso» azzardai, mentre istintivamente prendevo posto accanto a lei.

Non ero esattamente un'esperta di giochi da feste studentesche, ma in ogni caso avevo visto abbastanza volte il film "trent'anni in un secondo" per sapere che la versione alcolica di Alice non fosse affatto la più famosa.

Lei si limitò a emettere uno sbuffo, come se il mio suggerimento fosse ormai storia vecchia e superata.

«Non siamo più alle elementari» mi canzonò. «Sette shot, per sette domande in totale, non è difficile.»

Facevo fatica a stare dietro alle sue parole. In primis perché non ero troppo interessata a fare quel gioco con lei, e in secondo luogo perché avevo la sensazione che Alice non fosse l'unica concentrata su di me.

Dopo lo scambio di battute a lezione della Davis, io e Alex ci eravamo ignorati per tutta la settimana. Nei corridoi i nostri sguardi non si erano mai incrociati, neppure per sbaglio, e le lezioni di chimica si erano trasformate in una silenziosa oasi di pace. Niente battutine sui miei esercizi sbagliati, niente improvvisate al bancone accanto al mio.

E a me andava bene così.

Eppure, nonostante il turbamento per il mio comportamento paranoico mi logorasse, la percezione del medaglione al mio collo non mi abbandonava mai. La consapevolezza di quel freddo ovale metallico era simbolo di un tarlo che si era ormai instillato nella mia mente e che era destinato a rimanere. Una fissazione che nessun altro poteva comprendere, a parte Alex.

«Terra chiama Cassie». Alice stava schioccando le lunghe dita di fronte ai miei occhi, cercando di attirare la mia attenzione. Sembrava assurdamente determinata a farmi provare tutte quelle attività che generalmente i ragazzi della mia età amavano fare: un mix tra giochi alcolici, ribellione e ore piccole.

«La nuova arrivata inizia» decretò Philip, incrociando le gambe sul pavimento di fronte a me.

Ah, adesso ero diventata "la nuova arrivata"?

Ancora non riuscivo a capire perché fosse venuto a scusarsi con me, se poi doveva trattarmi come se neppure mi conoscesse. In ogni caso, Philip continuava a non piacermi del tutto e non riuscivo davvero a capire come il resto della scuola lo sopportasse. Probabilmente, facendo parte della squadra di football, erano semplicemente costretti a farlo. o almeno questa era la spiegazione che mi ero data.

Guardai incerta la bottiglia davanti a me e, senza darmi troppo tempo per pensare, la feci roteare.

"Ti prego non Philip Reese" pensai mentre la bottiglia girava.

"Ti prego, non Philip Reese e non Alexander Case" mi ripetei. Meglio essere esaustiva.

"Ti prego, non..."

In quel preciso istante, quasi a volersi burlare dei miei desideri, la bottiglia si fermò esattamente a metà tra Alex e Caleb. Sollievo e panico - non necessariamente in quest'ordine - mi invasero. Era un risultato incerto e quindi avrei potuto scegliere, giusto? Non ero una grande esperta ma era così che funzionava, no?

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