34 - La partita

7.2K 418 790
                                    

Quando ero piccola, James mi ha insegnato che le situazioni che ci fanno paura vanno affrontate.

Per molti potrebbe sembrare un'osservazione ovvia, ma non lo è per una bambina abituata a ricominciare in un posto diverso ogni sei mesi.

Ho sempre avuto l'impressione infatti che cambiare casa fosse un espediente, una tattica semplice, per fuggire da tutto ciò che mi faceva paura.

La realtà però è che non c'è posto in cui tu possa scappare, dove la tua ombra non ti accompagni.

Così ho imparato a buttarmi di petto anche in quelle circostanze che facevano scattare inconsciamente ogni mio meccanismo di difesa. Dalla recita della scuola, fino a Mary Collins che mi rubava la merenda ogni giorno.

Eppure nella vita ogni tanto ho barato.

Nonostante gli insegnamenti, a volte volevo unicamente evitare lo scontro. E come spesso portavo a scuola due pacchetti di patatine per far credere a quella bulletta di sette anni di averla vinta, quel giorno il mio corpo aveva rifiutato il conflitto.

Dopo l'incontro con Christian, i miei piedi si erano mossi istintivamente in direzione della palestra. Lo avevo lasciato lì, con la mano ancora sospesa a mezz'aria e le dita schiuse, che fino a qualche istante prima stringevano i miei appunti.

Mi ero rintanata tra quelle pareti graffiate e umide, cercando di ignorare il mio cervello che continuava a ripropormi gli stessi quattro elementi in una sequenza costante.

Christian, Caleb, Alex e la squadra dei Lupi di Beverly tutti in un unico posto. Una polveriera la cui miccia era già pronta a far esplodere tutto.

***

Che avessi un aspetto terribile, lo si poteva leggere nel modo in cui Alice mi aveva guardata per tutto l'allenamento prima della partita. Ogni tanto i suoi occhi si erano soffermati su di me, scrutandomi come se volesse andare oltre. E allora io avevo accentuato quel finto sorriso che dovevamo forzatamente sfoggiare, tanto da sentire le guance indolenzite alla fine della coreografia.

Saggiamente però non aveva fatto domande, forse perché aveva intuito che mai avrei espresso i miei pensieri di fronte ad altre undici ragazze, e mi aveva lasciata a rimuginare per tutto il pomeriggio.

«Abbiamo un problema.»

Quelle furono le prime parole che mi rivolse dopo due ore passate tra una piramide e un arabesque.

«Abigail sta male» continuò lei «ora la coreografia è rovinata perché ci manca una ragazza.» Sbuffò, tamburellando il piede a terra in un moto d'impazienza.

Non realizzai immediatamente di avere per le mani la mia via di fuga, ma dopo un istante di silenzio, una delle altre ragazze intenta a fare stretching vicino a me si intromise. «Potremmo togliere un'altra ragazza, così saremmo nuovamente pari» suggerì con un'alzata di spalle, prima di tornare a toccarsi le punte con uno slancio che mi lasciò sbigottita.

Togliere un'altra ragazza? Gli occhi mi si illuminarono. «Togli me, Alice» cinguettai senza neppure che me ne rendessi conto. Feci una piccola pausa, per non sembrare eccessivamente contenta di quell'opportunità. «Oggi proprio non riesco a concentrarmi» mi giustificai.

Lei fece una smorfia, pressando le labbra tra loro. Si guardava attorno, come in cerca di una soluzione alternativa. Sembrava indecisa, ma a ogni secondo che passava riuscivo a vedere la sua rassegnazione crescere.

«Ti prego, faccio schifo oggi» insistetti. Oggi e probabilmente anche tutte le altre volte. Ma non lo dissi, lo pensai e basta.

Lei sospirò, torturando con le dita laccate di nero i capelli. «Va bene» concesse alla fine, «resta a vedere la partita sulle gradinate, però.» Sembrava che le dispiacesse davvero fare a meno di me.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora