47 - Wenham Lake (II)

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Ad oggi non saprei spiegare le emozioni che attraversarono il mio corpo quando Caleb spalancò la porta traballante di quel capanno.

Stupore, sollievo, incredulità furono solo una parte infinitesimale del ventaglio di sensazioni che provai in quel momento. C'era però una verità nascosta che il mio cervello non era stato in grado di cogliere.

Caleb sorrideva.

Non era sorpreso o scioccato come noi. Un semplice e puro sorriso aveva trovato spazio sul suo volto, come se avesse saputo fin dal primo momento chi avrebbe trovato in quella stanza.

Se fossi stata più attenta, se fossi stata più lucida, lo avrei capito in quel momento. E invece quel dettaglio si disperse nel flusso d'adrenalina, come fumo in cielo.

Cosa ci fa lui qui? Questo sembrava l'unico pensiero che il mio cervello era stato in grado di formulare. Perché nessuno di noi poteva aver frainteso le parole di Jenna. Gli Harrison erano il nemico. Caleb era il nemico.

E allora perché conosceva proprio quel posto?

Fu come se tutti avessimo trattenuto il respiro per un lasso di tempo infinito, nel tentativo di congelare quel momento per sempre. Come se non volessimo affrontare le conseguenze di quell'ulteriore fulmine che aveva sconvolto una volta ancora tutto il nostro mondo.

Quella apparente tregua però durò poco. Vidi Alex lanciarsi verso Caleb, ergendosi in tutta la sua altezza e afferrando con forza il bavero della sua giacca.

«Che cazzo ci fai qua, Evans?» Una scintilla sembrava essersi accesa in lui. Non era più la maschera impassibile che aveva pazientemente ascoltato i discorsi di Jenna. Ora sembrava bruciare. Bruciava di tutte le bugie e di tutte le questioni irrisolte che aveva con lui.

Fu proprio Jenna a reagire per prima. Scattò verso di loro e si mise in mezzo. «Smettetela» ordinò, poggiando i palmi delle mani sul tessuto delle loro magliette, per dividerli.

Rivolse un'occhiata inflessibile prima a uno e poi all'altro, ma nessuno dei due sembrava voler opporre resistenza. Caleb aveva uno sguardo deciso e per nulla preoccupato, come se avesse messo in conto quella reazione. Alex invece fece un passo indietro, con un'espressione dura e nauseata allo stesso tempo, prima di scuotere la testa e voltarsi nella mia direzione.

Fu quello il momento nel quale mi resi conto di far parte anche io di quella situazione, che stavo vivendo come se fossi una semplice spettatrice. Troppo esausta per reagire, troppo scioccata per metabolizzarla, sentii i suoi occhi cercarmi, ma io rispondevo con uno sguardo diffidente.

Era solamente un brutto scherzo, vero? Uno di quei miei sogni dove correvo nella foresta e non trovavo la fine. Alex non era reale. Jenna e Caleb neppure. La mia mente doveva aver cambiato il solito schema per accrescere il mio panico, ma era solo un sogno, giusto? Doveva esserlo. Perché la realtà era troppo devastante per accettarla.

Quante persone mi avevano presa in giro?

I tratti del mio viso dovevano essere stravolti, a giudicare dallo sguardo che mi rivolse Alex. Vidi la sua maschera dura incrinarsi, mentre si avvicinava a me. Non capivo bene il perché, ma me ne resi conto quando parlò.

«Respira, Cassie.» Posò la sua mano bollente sul mio viso ghiacciato e la sua espressione arrabbiata si tramutò in una versione più preoccupata. Senza dire una parola, fece scorrere la cerniera della felpa, togliendola velocemente e appoggiandola sulle mie spalle.

Avrei voluto ringraziarlo, o dirgli che non ne avevo bisogno, insomma articolare anche solamente una singola parola... ma non ci riuscivo. L'ingresso di Caleb mi aveva paralizzata. Vivevo quella scena senza essere davvero lì. Come se la ragazza su quello sgabello non fossi io, ma solamente un ologramma senza anima.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora