Capitolo 31.2

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Avevo sempre creduto che il cielo non si potesse percepire chiusa tra quattro mura, che il rimescolio dei suoi argenti e dei suoi blu non potesse gocciolare dagli infissi delle finestre, come pioggia fina, e finire per imbrunire dentro occhi di ragazzo.

Mi sbagliavo.

Nell'abbraccio inaspettato e un po' goffo della Berti, Elias aveva la tenebrosità di un cielo con una lunazione quasi piena, la spossatezza e la spigolosità di una nuvola tagliata a zigzag dai venti.

Lo stavamo guardando tutti, talmente era insolito vedere la direttrice del negozio fermare le sue chiamate, e spostare le sue attenzioni su un'unica persona che non fosse un possibile affare per i suoi fiori.

Era come se una paralizzante notte fosse calata in contemporanea fuori e dentro la Bottega, come se quel ragazzo potesse farla calare ovunque, soltanto andandosene.

Il saluto ufficiale.

Mi accorsi di essere ferma con alcune tazze impilate una dentro l'altra e di essermi dimenticata di doverle riporre in una credenza.

Anche lui se ne accorse, da oltre la spalla di Lisa sollevò le sopracciglia, facendomi sentire bonariamente in imbarazzo, calamitata e trattenuta da una fine che si acquietava nelle sue iridi.

E per un lungo attimo la vissi, accompagnata a entrare nei suoi occhi, un giardino roccioso in cui l'ottenebramento nascondeva ogni Giacinto e ogni Magnolia, favorendo uno statico abbandono.

«Kalanchoe», pronunciò la Berti con voce chiara, dopo essersi ritratta dalle sue braccia, che come cancelli in ferro battuto si erano aperti faticosamente per primi dietro la sua schiena, facendo uscire da lui un aleggiare di notturni e piovaschi.

Kalanchoe era l'altro nome della Calancola, una pianta dai colori sgargianti, la cui fioritura era comunemente associata all'ottimismo, alla fiducia e al sorridere. Era stato fatto proprio nel linguaggio colloquiale di Lisa, e di conseguenza nel nostro di colleghi, già da molto tempo, come sinonimo della parola "sorridi".

«Kalanchoe, sì», riprese Elias, abbozzando un sorriso per lei, come lo aveva esortato a fare la donna, con cui si girò in seguito a guardare ogni parete, ogni tavolo, ogni dettaglio floreale.

Tutto.

Arrivò anche a me, pochi secondi di gratitudine che mi tolsero da uno stato di immobilità, facendomi affrettare a levarmi il compito di cui mi ero fatta carico, per poter essere libera di uscire.

Ancora indaffarata, sentii i saluti, le voci una sull'altra, la porta della Bottega che lui coscienziosamente apriva, su una sera che lo avrebbe portato via, ultima e senza più ritorno.

                                                                ✴

«Aspetta!»

Spinsi fuori il fiato, un alone candido dalle evanescenze fredde.

Troppo scarto.

Ero molti passi indietro, la sua schiena era un contorno scuro che si muoveva, intorno i chiarori artificiali di una città spenta.

«Aspetta, Elias!» cacciai, con una nota di urgenza che risuonò nella mia testa come un urlo e un ululato alla luna, e lui si irrigidì.

Girati, guardami!

Rallentò, e io accelerai per lui, mi sembrò che si stesse per fermare, ma in un battito tramortente, arrivai al punto dove era stato solo fino a poco prima, senza più vederlo.

Asfalto vuoto.

Era come se non avesse camminato su quella lunga strada, davanti a me, come se non fosse mai esistito alcun ragazzo da chiamare.

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora