Capitolo 15.1

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                                                         Guardami ora


Sentii un fruscio, qualcosa che cadeva a terra.

Solo un gioco.

L'eccitazione mi legò come una corda, stringendomi le caviglie e i polsi al posto suo.

Ce la puoi fare.

Non dovevo essere io a restare immobile, lottai contro i brividi caldi che mi piegavano.

Coraggio.

I secondi in cui mi girai credetti di non aver più aria da respirare, le molecole tutte distrutte da quella graffiante smania che mi controllava.

Ogni terminazione nervosa impazzita.

Soffoco.

Le scarpe, ribaltate sul pavimento come avrei voluto facesse con me, erano vicine ai suoi piedi scalzi, puntati nella mia direzione.

Disegnati a tela di ragno, il loro pallore spezzato da linee scure al pari di vene nere, erano il candido divorato dall'oscuro.

Erano stati a calpestare il suolo di una stella, e di chissà quale altro pianeta esistente, si erano librati nell'aria a loro piacimento, e ora...erano fermi.

Immoti, per me.

Giocavano.

Deglutii la mia stessa voglia, ricacciai dentro i pensieri osceni, ma perfino le sue unghie mi facevano immaginare di chinarmi a baciagliele una a una, di percorrere con le dita quei fili di nero che sparivano sotto i pantaloni.

Poco più in su, la cintura era stata aperta, la cerniera abbassata, e la stoffa delle mutande bianche si tendeva come se faticasse a contenere il rigonfiamento.

Grosso.

Il cuore picchiava con prepotenza alla vista di quel lasciapassare; Zeno avrebbe potuto levarsi qualsiasi altra cosa, eppure aveva iniziato da quella.

Faceva sul serio.

Ero in un bel guaio, stavo rischiando con un ragazzo senza cuore, qualcuno perennemente in combustione, che poteva non sapere come essere delicato.

Lui si godeva, quatto e intenso, ogni mia espressione, la testa inclinata a lato, gli occhi bicolore che parlavano solo di quello che il gioco gli negava.

La sua intraprendenza era imbrigliata in un imposto autocontrollo, un'adorabile testardaggine che poteva finire in una spinta potente al prossimo turno.

Mi forzai a voltarmi.

Continua, Ester.

«Uno.» ricontai, e pensai a quelle sue mani impassibili, che poco prima avevano iniziato a istigare il piacere tra le mie gambe. «Due. Tre...»

Ripetei in testa la parola stella almeno cinque volte prima di pronunciarla, lasciai il tempo a Zeno di prepararsi al mio giro, e ai miei polmoni di incanalare ossigeno.

Un altro fruscio, di nuovo qualcosa che finiva a terra, questa volta più leggiadra, e dei passi, un incedere veloce, scalpitante.

Aria.

Mi voltai, e me lo ritrovai vicino, la sua altezza che mi sovrastava, il suo petto senza più alcuna maglia addosso.

Fui schiacciata sotto il peso della sua diversità, inghiottita dalle tenebre.

Bellissimo.

Il suo torace sembrava aver dentro di sé la notte più tetra, il buio che neanche le candele sotto cui eravamo potevano rischiarare.

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now