Capitolo 26.2

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Luce, calore, pietra.

Parevano legarsi alla mia pelle, trasmutare il mio sangue, forgiarmi di una maglia metallica che scintillava, proteggendomi da una burrasca di polveri.

Zaffate di un rosso dorato vorticavano in aria, mi colpivano, agitate da venti caldi che avrebbero potuto sciogliermi, ma che invece non mi nuocevano.

Le vene sembravano irrobustirsi con il fuoco che irrorava il sottosuolo, diventare di vetro lavico, per farmi esistere su quel crinale tortuoso, e resistere.

Una danza di sabbie rallentava il mio cammino, mi faceva partecipare alle sue giravolte infiammate senza poter dare alcun rifiuto.

Era un ambiente che pareva volermi coinvolgere, anziché uccidere; sentivo nel corpo il fluire della sua letalità, come se potessi farla mia.

In qualche modo continuava a introdursi in me, soffiandovi le braci dei suoi tizzoni ardenti.

Armonizzata alla tempesta di fuochi e ceneri che infuriava sul mio incedere, io stessa ero tempesta, come se ne avessi assorbito la forza.

All'improvviso, nubi di polveri invertirono la direzione, trascinate in aria da qualcosa che sembrò diradarle, attenuando i loro giri.

La mia vista si liberò fino a distinguere occhi di un verde amazzonico, venati di sottile cristallo, che mi fissavano da un agglomerato di rocce scoscese.

Non avevano un corpo, intorno a essi continuavano a vorticare residui aurei e carmini, ma non parevano volermi intimidire, piuttosto studiare.

A poco a poco, si delineò un viso maschile che ammiccava sardonico, mentre le sue guance diafane erano colpite dai grumi confusi della burrasca, e dalle lingue di fuoco che si accendevano sottoterra per saettare rapide verso l'alto.

Mulinelli d'aria lasciarono il posto al fisico di un ragazzo in maglia nera con scollo a v, e jeans scuri arricciati fin sopra le ginocchia, seduto su una irregolare e rialzata pietraia.

I tratti del suo volto erano distinti, quasi esotici, non aveva una avvenenza comune, se di bellezza di poteva parlare, ma era piuttosto ipnotico.

Il modo in cui stava tranquillo nel bel mezzo di una tempesta ocra e scarlatta, come se niente potesse turbarlo, faceva intuire che pensava di avere il pieno controllo su di sé, o che davvero lo aveva.

«Una superluminale.» fischiò, inclinando leggermente la testa, e stringendo gli occhi, come a non perdersi alcun dettaglio di me. «Sono fortunato, oggi.»

«Super...?»

Il corpo si scompose in una folata bruciante, scomparendo dalla roccia, per poi ricomporsi a pochi centimetri da me, davanti al mio sguardo attonito. Arretrai, per istinto, muovendo i piedi all'indietro come minacciata.

Era alto, inflessibile agli schiaffi d'aria a cui ancora eravamo soggetti, solo i suoi capelli scuri danzavano sulla sua fronte perlata, mentre sul suo collo riuscivo a vedergli vene trasparenti in rilievo.

«Dimmi, ti sta piacendo questo sogno?» chiese, in un tono divertito, quasi saccente.

«Sto... sognando?» domandai, in risposta, completamente disorientata dal colore verde dei suoi occhi, ravvivato dai guizzi di luce dei fuochi aerei.

«Mmm, tu che cosa ne pensi?» rigirò soltanto, forse provando gusto a lasciarmi dubbi, a farmi pendere dalle sue labbra.

«Sto dormendo, non è vero? Tutto questo non esiste.» affermai, a quel punto, realizzando che niente di terrestre poteva essere come quel luogo, o come lui, e aggiunsi: «Tu non esisti.»

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now