Capitolo 19.1

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                                                             Mai soli



Non era da lui.

Lo stavo aspettando già da venti minuti, seduta su un muretto al sole, il nostro ritrovo per andare alla Festa dei Fiori a Carzano.

Forse è stanco.

Magari non si è svegliato.

Era possibile che stesse ancora dormendo, era stato in piedi fino quasi all'alba ad attendere il mio ritorno in camera.

Ha il telefono spento.

Sospirai, e scesi a terra con una piccola spinta, rassegnata a doverlo cercare alla sua porta.

Lo tirerò giù dal letto.

Pochi secondi dopo, mi resi conto che non serviva. Oh no che non serviva. Affatto.

Elias era in ottima forma, e correva; i pantaloni di una tuta nera che si stringevano alle sue caviglie, risaltando le lunghe gambe, la maglia smanicata che mostrava i muscoli delle braccia, in tensione per il movimento veloce e coordinato.

Sveglissimo.

Lo fissai, mentre faceva alcuni giri in tondo, e poi saltava sul posto, flettendo le ginocchia e forzando il suo corpo a sopportare la fatica.

Avrei voluto smettere di seguire i suoi spostamenti aerobici, ma non ci riuscii. Sorprenderlo a fare attività sportiva era così...insolito.

Il suo viso era paurosamente contratto, aveva una determinazione nell'allenamento che intimoriva e ipnotizzava.

Non sembrava intenzionato a riprendere fiato, continuava a spingere il suo fisico al limite, tentando sempre nuove evoluzioni di esercizi.

Aveva uno slancio che non gli riconoscevo, pareva quasi provasse gusto a farsi del male, a chiedere a sé stesso di più, ancora di più.

I suoi occhi erano braci nere quando caddero nei miei, vetri lavici, riuscivo a vederci dentro la devastazione di un fuoco scuro che ardeva e consumava.

Lo salutai, cauta, con le dita, sorridendo a malapena, non sapendo cos'altro aspettarmi da lui.

Elias poteva essere delicato come la corolla di un fiore, fragile come una costruzione di cartapesta, eppure motivato come un guerriero in un'arena.

«Ehi.» lo chiamai.

Non fermò l'allenamento perché mi aveva notata, cambiò solo schema e si avvicinò al residence con uno scatto sostenuto che fece accelerare i miei battiti come se stessi correndo con lui.

Rallentò poco prima di raggiungermi, portandosi dietro una ventata di aria fresca, che sembrava averlo seguito fedelmente, il respiro corto tra le quiete labbra.

«Sei in ritardo.»

Il sudore bagnava la sua fronte, dava un riflesso acqueo al blu di alcune sue ciocche di capelli, colava in goccioline dalle sue tempie fino alle guance accaldate.

«Dovevo correre.» disse, la voce provata dai sacrifici motori a cui avevo assistito. Guardandomi attraverso il nero spento dei suoi occhi, aggiunse: «Ne avevo un gran bisogno.»

Vacillai alla sua occhiata. Mi accorsi di quanto potesse essere complessa, inconoscibile, la profondità con cui Elias viveva il mondo.

«Quanto ti ci vuole ancora?»

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now