Capitolo 24.1

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                                                                 Indaco

Ci sono attimi da cui non si vorrebbe mai andare via, paesaggi che diventano miniature di alabastro dietro le nostre palpebre, e non si sgretolano più.

I pendii dell'isola erano trecce di foglie e ramificazioni adagiate sull'acqua, curve lontane in un diurno profilato ancora di stelle.

In una altura di Sale Marasino, ai margini di uno strapiombo sul paese, vedevo i primi velieri della mattina imperlarsi di luci.

Il ceruleo del cielo era striato di aloni giallo ocra, rifrazioni solari che lentamente salutavano la notte, mutando in un rosa filato di zucchero.

Mi ero messa in cammino presto, quaranta minuti in direzione di Maspiano, solo gli sbuffi del vento tra i rami di cedro a sostenermi nella mia salita.

Era la mia ultima alba sull'Iseo, la sensazione della fine mi aveva portata qui, ad allungare il mio nuovo giorno, a volerlo veder nascere, a cercare di ricomporre in segreto la sua collana di colori, le cui perle rovesciate correvano ora sulla volta celeste.

Ero riuscita a sentirmi durante il tragitto, a capire che non mi serviva altro che guardare in alto per stare bene, tutta quella Bellezza semplice, dell'essere, ma che solo la compagnia di qualcuno avrebbe potuto colorarmi come il cielo di un nuovo inizio.

«Non ti siedi?» mi giunse una voce alle spalle, come un arcobaleno inaspettato, che si infrangeva in molte altre gradazioni.

Mi voltai verso di lui, che si era avvicinato a passo di cervo, e ora appoggiato a una gamba della Panchina Gigante di quella cima, sembrava averne trasmutato la vernice gialla in oro cesellato, come i suoi capelli.

Era la mia cicatrice di luna, qualcuno che mi sarei portata sempre sulla pelle, come un segno incancellabile, la conoscenza dell'universo in faville di me.

I suoi occhi erano simili a lucciole blu e verdi, facevano cadere nell'incanto perfino la penombra sotto una sedia abbarbicata sulla collina.

«Tra poco.» risposi.

Lui rimase fermo, a guardarmi come se fossi più indelebile del suo inchiostro serico e magico, e senza la minima reticenza lo ammettesse.

«Volerai con me, allora.» diede per certo, aprendo un ventaglio di emozioni nel mio petto, più di quanto non avrei sentito al mio primo giro su un aliante.

Volare con un intaglio di Saiph, tra le sue braccia di eterna mezzanotte, di solstizio di inverno che nasconde un equinozio di primavera.

«Non te l'ho chiesto.»

«Io te lo offro comunque.» rispose, facendo germogliare la meraviglia, scostandosi dalla grande opera d'arte alle sue spalle. «Prima hai lanciato un'occhiata scoraggiata alla panchina, probabilmente pensando a quanto sarà faticoso salirci sopra.»

Mi sorprese, ancora una volta e nonostante tutto, e il lucernario sul mio cuore aprì una fessura, lasciando entrare una luce come miele di arancio.

«Non ci sono scale o supporti, bisogna essere atletici.» spiegai, cercando di non fare caso a quanto si stesse già avvicinando.

«O abbracciare una stella.» sussurrò piano tra le labbra, fermandosi a meno di un metro di distanza da me, il suo sguardo che aspettava.

E come una crisalide non può trattenere una farfalla quando è il momento di uscire, anche la paura non può tarpare per sempre le nostre ali.

«Solo un volo.» accettai, e le sue labbra si curvarono in un sorriso che mi distese, un accenno di equilibrio tra noi che mi sembrò un fiore sollevato dalla neve.

Allungai un braccio, la mano che mi tremava mentre superava la giacca aperta di Zeno e faceva il giro intorno al suo busto, fino ad accarezzare la sua schiena e a sentirla attraverso la maglia.

Ferro e terracotta sotto le mie dita, percorsi oscuri e lanterne rotte, su una pelle che ha raccolto in una piccola isola i miei baci.

Non lo udivo respirare, né muoversi, e questa cosa, per quanto normale con lui, stava facendo capovolgere la mia decisione mentre mi stringevo al suo petto.

«In un volo solo, si può arrivare molto lontano, sai?» disse, piegando la testa al mio orecchio, e facendomi sentire la sua voce calda.

Il suo braccio passò intorno alla mia vita all'improvviso, la sua mano premette sul mio fianco, e in quel momento i miei piedi lasciarono terra.

I battiti accelerarono subito, la Panchina Gigante si rimpicciolì al mio sguardo, e capii che Zeno non aveva alcuna intenzione di lasciarmi lì.

Mi stava portando con lui a catturare le sfumature del cielo, fino quasi a esserne velati, il blu sfilato nel lilla a nord, cangiato nell'arancione a sud, e il lago, da lassù, non era che una superficie vitrea di sogni colorati.

Insieme eravamo ingranaggio fermo, e promessa di elevazione, che poteva far andare le nostre sensazioni oltre ogni emisfero.

«Ci tenevo a vedere questa alba.» dissi, posando il mento sulla sua spalla, cercando di riconoscere quanti più colori possibili fuori e dentro di me. Ma mentre i miei occhi riuscivano a cogliere tonalità di passaggio sulla vallata, il mio cuore era spaventato a fare altrettanto in me.

«Perché sai che è l'ultima qui. La consapevolezza della fine...è quella che fa apprezzare di più il tempo che si ha ancora.» Restò un istante lungo in silenzio, poi sentii le sue dita tra i miei capelli. «Quella che ci fa agire, irrimediabilmente.»

Un palmo aperto sceso ora sul mio collo, una carezza di velluto nero, una spira di sola cenere.

Zeno mi allontanò dalle tonalità del mattino, le lasciò accendersi solitarie sopra il nostro abbraccio, mentre mi faceva fluttuare in basso sulla Panchina Gigante.

In piedi su di essa, si separò da me, e mi impresse uno sguardo colorato di cielo, una tinta di alba rimasta nella sua rete di lunghe ciglia.

«Non vorrei che fosse l'ultima.» ammisi con lui, voltandomi a guardare Monte Isola in lontananza, accanto ad altre due isole, sonnacchiosa in una culla d'acqua.

«Allora fai in modo che sia come la prima.» disse.

Lo guardai, e proprio in quell'istante un fruscio di vento gli mosse i capelli di filati biondi, mostrandomelo in tutta la sua straordinarietà.

Era come se sulle sue labbra, potessi dominare il chiarore della Via Lattea, e sul suo corpo, perdermi nel buio della Fenditura del Cigno.

Fai in modo che sia come la prima.

Buona domenica! Questa parte nasce da un colore, l'indaco, il quale ha ispirato tutto il contenuto del capitolo, ma il suo significato lo scopriremo solo nella prossima parte

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Buona domenica! Questa parte nasce da un colore, l'indaco, il quale ha ispirato tutto il contenuto del capitolo, ma il suo significato lo scopriremo solo nella prossima parte. Le sensazioni che prova Ester nei confronti di Monte Isola le ho provate io tante volte al rientro da una vacanza. Comunque la Panchina Gigante esiste veramente in localita' Maspiano, viene chiamata anche 'Big Bench'. Vi è piaciuto il ritorno a un volo con Zeno? :-P Fatemi sapere le vostre impressioni sul capitolo! A presto

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now