Capitolo 29.2

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Da te.

Un clangore nella mente. Estraniata dall'incedere di quel rumore di metallo sgangherato, di normalità piegata, espropriata della familiarità con il mio corpo, traballai, trattenuta dal ragazzo.

Da me?

Lievi pizzicori vitalizzavano punti nevralgici della mia mano, parevano stappare pori di fuoriuscita, mentre un circolare chiarore sviava dalla presa completa di Zeno, e come brezza mattutina su pittura vetraria, si infrangeva, spiralizzandosi in aria.

Il buio era grattato via a strisce da unghie di luce che lo aggredivano, scarnificandolo della sua cupezza, sfavillando finemente nei suoi vuoti.

Come code di comete, ioni dispersi dalle fessure delle sue dita di cielo sulle mie.

Fluorescenze sfuggivano sul disdicevole incarnato di lui, rinvigorivano le sue labbra, dalle quali proveniva un riso basso, di stupore e appagamento.

La mia pelle continuava a frizzare, rilucenti fili spiroidali a salire dal basso in alto, accendendo il volto di Zeno, attorcigliandosi alla sua malia.

I suoi capelli parevano impreziositi, ottone brillantato e fuso in riverberi liquidi, davanti al mio sguardo attonito e sconvolto.

Sfregò il pollice tatuato sulle mie nocche, forse per tranquillizzarmi, e la sensazione di separazione da me e unità con lui in ogni punto di contatto tra noi, si amplificò, prendendo il sopravvento.

Strati di dolcezza, di preoccupazione, di furia mi raggiunsero come spari d'acqua da una diga sgretolata, buttandomi giù insieme ad altri di sottomissione, di frustrazione, perfino di impotenza.

Sbarrai gli occhi, perché non erano i miei, non ero io, e quell'alone albeggiante intorno alle nostre mani pareva attirare qualcosa di lui che non conoscevo, invitare il ragazzo ad allinearsi a me, scalzando una parte delle mie emozioni per fare posto alle sue.

Zeno notò la mia espressione e bloccò il leggero sfregamento, osservandomi anche lui stupefatto e interessato tra aperture luminescenti, come se avesse appena avuto accesso a un'area emozionale che non riconosceva come sua, e non sapesse se restare o uscire.

Ritirò discretamente la mano, e nell'esatto momento in cui la staccò dalle mie dita tremanti, lo scuro della sera rimpiombò a spegnere ogni luce, a negare ogni circuito di magia di quello scambio.

«Tu... sei stata su Saiph, vero?» mi chiese, la serietà nella diversa tonalità delle sue iridi, e dal verde e dal blu io vidi riaffiorare quel vivido sogno, quell'ambiente infuocato così reale.

«Io... sì», mi lasciai andare, una confessione che stavo facendo prima a me stessa, ancora incredula per la anomala tensione che avvertivo affievolirsi nella mia destra fino a cessare, e soltanto dopo a lui.

«E quella notte che ci siamo visti alla Terrazza, l'ultima volta che mi hai toccato», rivangò Zeno, dando un accento di sensualità alla pronuncia che mi serpeggiò dallo stomaco in giù, facendomi fremere di nuovo per lui, temendo un suo velenoso morso. «È stata prima.»

Sostenni il suo sguardo diretto, e ciascuna deviazione nera del suo pallido e scolpito volto mi fece domandare quanto di me avesse in sé, come buio, e quanto di lui avessi in me, come luce.

Annuii, e riportai l'attenzione alle mie dita, le sentivo di nuovo normali, come se non avessero appena mostrato di essere state silenziosamente rese devote a una lontana costellazione.

«Pensavo che...» iniziò, senza più sembrare eccessivamente scosso, reagendo alla mia conferma con una ritrovata consapevolezza che lo faceva apparire flessibile, stabile. «Può essere l'Ellisse.»

Saiph - La mia stellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora