Capitolo 40.1

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                                                      Lesione


Avrei preso un nuovo ritaglio di carta, se lo avessi trovato. Se fosse servito. Ci avrei scritto sopra che non desideravo più niente, anche se non era vero.

Lo avrei gridato convinta alle stelle, in quella stessa notte, fino a farmi male, e perdere la voce.

Avrei deluso la bambina che ero stata, se con ciò avessi potuto fermare tutto, così come era. Una menzogna, per la liberazione di due ragazzi.

Per evitare la loro resa.

Avrei giurato che stavo bene, alle luci che attorniavano la luna, una, due, mille volte, affinchè recapitassero il mio messaggio.

«Avrei voluto creare un fiore di carta diverso, con te», disse Elias, le iridi scure come perle fuse che si distoglievano dalle mie. «Per questo, ho fatto in modo che lo tenessi tu.»

Era la fine, e allora come era possibile che a tratti suonasse così dolce nelle lacrime che faceva versare, che avesse un aspetto tanto suadente da non rifiutarne il dolore.

«Anche io», risposi, e a ogni attimo che mi restava con lui, lo sentii con sempre più impeto. «Tu non sei come vogliono loro.»

I suoi occhi mi ricercarono, mi osservarono corrispondere, guardarlo ancora con le guance imporporate, nonostante stessi crollando a causa sua, pezzo dopo pezzo.

Un irreparabile dissesto.

Aveva già visto una mia crisi, era stato presente per me ad attraversarla, ma questa volta era diverso, era ciò che lui doveva fare ad averla indotta, non provava più ad avvicinarsi, non poteva darmi alcun sostegno.

«Nessuna stella potrà mai meritare la tua sensibilità», mi disse.

«Neanche la tua», riuscii a esprimere, tornando indietro alla me stessa che avrebbe voluto fargli promettere di non far più piangere il cielo.

«Ricordi che cosa ti ho detto degli anemoni? Della loro fragilità», sussurrò, forzandosi a guardare la fontana gettare acqua, piuttosto che i rivoli che cadevano dalle mie ciglia. «La posso sentire meglio di chiunque altro, perché... io sono il vento che li distrugge.»

Il cedimento che ebbe Elias all'ultima parola era anche il mio, mi diede l'istinto di essere io ad abbracciarlo come avrebbe avuto bisogno, seppur mi stesse volutamente negando il suo sguardo, ma non mi lasciò.

«Per favore, non andare là, non fare questo a lui!» esclamai, colando righe trasparenti sul viso, il petto sentiva la conseguenza dello spacco, una lesione aperta che il suo dispiacere stava allargando.

Zeno, Zeno, Zeno.

Erano il blu e il verde a scendere rapidi sulla mia pelle, era il nero che non mi aveva mai nascosto, era il cuore che non gli era stato dato, erano i battiti che si era costruito, era il tempo che aveva voluto davvero vivere.

Quel protratto silenzio, nel quale avevo imparato a conoscere colui che da una giornata innevata aveva cristallizzato il suo arrivo nel mio posto di lavoro, aveva già un significato.

«A mezzanotte di oggi, saremo a Fiesole», disse, e se per chiunque altro, quella frase non avrebbe comunicato nulla, per me comunicò tutto.

La sua inflessibilità scavava nel dolore che stavo provando, ne aumentava il grado, lasciandolo a districarsi in cieca rabbia.

Lo sorpresi, arrivando a stringermi alla sua schiena, e il suo sospirante trasalimento acuì la mia mancanza per la sua stregata melodia, e il fastidio per la mia richiesta inaccolta.

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now