Capitolo 11.1

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Fiore d'acqua


«Santa Croce a Carzano si festeggia da quasi due secoli.» si rivolse a noi una donna, seduta sulla panchina del battello accanto a Elias.

Era una domenica soleggiata, dal tetto della barca il porto di Sale Marasino, con le sue ville e la sua maestosa chiesa, si distanziava lentamente, mentre lasciavamo gli ormeggi ondeggiando appena sul lago.

«È un ritrovo di artisti.» continuò, anche se io ed Elias ci eravamo limitati ad annuire, a causa della stanchezza del viaggio in macchina, durato quattro ore.

«Ne conosce qualcuno?» chiesi, sfilandomi gli occhiali da sole.

«Più di qualcuno. Ho visitato quattro edizioni consecutive, questa è la mia quinta. Se doveste aver bisogno di una guida...»

«Oggi no.» declinò Elias, rivolgendole un sorriso gentile ma fermo. «Ci siamo già organizzati, io e lei.»

Cercai il suo sguardo, sorpresa, e lui ricambiò. Aveva appena ignorato un'occasione per non restare proprio soli, noi due, nella nostra giornata libera dal lavoro?

«Giro in bici, quindi?»

«Giro in bici.» confermò.

Lo avevo suggerito io poco prima di parcheggiare e posare le valige nelle camere del residence di Sale Marasino, dove avevamo la prenotazione, ma Elias non aveva risposto, e io avevo pensato non avesse ascoltato.

«Ah, fate bene, sull'isola non sono ammesse auto, salvo eccezioni, e l'autobus ha orari troppo precisi.»

Della parrocchia del paese ormai si distingueva solo la torre con il campanile, sfumata all'orizzonte nell'incontro tra collina e lago.

Si chiamava San Zenone. Quando l'avevo saputo, pensare a Zeno era stato un attimo, chiedermi dove fosse, ancora meno. Non si era più messo in contatto con me.

E per quel nome, avvertii una morsa allo stomaco, quando la chiesa sparì del tutto dalla mia vista.

Eravamo in rotta per Montisola.


Il borgo medievale di Carzano ci accolse come un fiore che si apre al sorgere dei primi raggi del sole.

Il centro abitato era in pieno fermento, mi trovai con Elias a seguire gruppi di turisti, intenti a guardare gli alti archi sulle loro teste, da cui pendevano boccioli di rose dai colori pastello.

Le creazioni di carta erano intrecciate così bene da apparire vere. Ce n'erano talmente tante e dai diversi stili, sulle ringhiere dei balconi e alle maniglie delle porte, che ebbi l'impressione di visitare il paese incantato di una fiaba senza tempo.

Alcuni abitanti ai lati del passaggio reggevano cestini ricolmi di fiori, e salutavano i turisti con sorrisi e piccoli doni di carta.

Arrivato il mio turno, una ragazza che poteva essere mia coetanea tirò fuori dalla cesta una corona di magnolie rosa e mi fece segno di abbassarmi.

La posò con delicatezza sui miei capelli, e quando mi voltai verso Elias per sapere come mi stava, notai che mi guardava fisso, con le labbra schiuse.

Feci un inchino, per scherzo.

Lui non batté ciglio.

La ragazza ne prese una anche per lui, e ripetè il gesto, lasciandola sui suoi capelli corvini.

I boccioli della sua corona di magnolie, a differenza dei miei, erano dipinti di un bianco quasi lunare. Il contrasto con le sue ciocche dalle gradazioni blu era netto, ma in qualche modo perfetto.

Quella corona sembrava essere stata fatta apposta per lui, gli apparteneva. Era l'accessorio che esaltava la sua silenziosa eleganza.

Stentavo a riconoscerlo: Elias non sembrava più il mio collega, si era trasformato in un magnetico re in quel paese che elogiava i fiori come aveva sempre fatto lui.

Primeggiando con semplicità, senza ostentazione, con un lavoro sotterraneo, nascosto ai più, e un'arte capace di trasportare in un altro mondo.

Nei suoi occhi riuscivo a vederci ora tormaline nere.

«Mia regina.» riprese lo scherzo, imitando l'inchino che gli avevo fatto io. «Sicura di voler ancora fare un giro dell'isola in bici?»

Il paese dove eravamo approdati era come un parco giochi per lui, ma lasciava l'ultima decisione di spostarci da lì a me.

«Carzano è il nostro regno.»  risposi, sorridendo. «Non può che aspettarci una grande accoglienza al nostro ritorno.»


Affittammo due biciclette, e con le nostre corone di magnolie sui capelli, decidemmo di percorrere il sentiero in salita che dal paese portava a Siviano, dove risiedeva il comune di Monte Isola.

Pedalammo sotto gli uliveti, uno accanto all'altra, continuando a impersonare un re e una regina che viaggiavano senza scorta nei regni dei vicini.

Era divertente, soprattutto quando, finalmente in piano, Elias accelerava e mi lasciava indietro, costringendomi a un inseguimento veloce controvento.

La sua schiena era incurvata sul manubrio, le sue lunghe gambe giravano con una spinta forte e sostenuta, agile come un ciclista allenato.

L'aria sferzava sui nostri volti, fresca e pura, mentre ci avvicinavamo a Menzino, a sud dell'isola; da un lato i pescherecci sul lago, dall'altro le colline verdi.

Facemmo più soste lungo il tragitto per Sensole, la nostra meta, ma sempre di pochi minuti per non perdere lo slancio e l'entusiasmo.

A un certo punto, Elias mi indicò la Rocca Martinengo che si ergeva sulla cima di una collina, il castello di Montisola, e a me parve di essere ancora di più in compagnia di un reale.

Entrando a Sensole, rallentammo, e dopo averne esplorato il piccolo centro, ci spostammo fino a trovare una insenatura sul lago, con tanto di panchine e tavoli direttamente affacciati sullo specchio d'acqua.

Era un angolo riservato, quasi privilegiato per riposare in tranquillità. Appoggiammo le bici a due alberi, e ci sedemmo su un tavolo, con le gambe a penzoloni sulla panchina.

Nessuno di noi parlò. Il paesaggio verso cui eravamo rivolti parlava per noi. I raggi di sole si mescolavano all'acqua, in una scia cristallo-dorata che si perdeva nell'orizzonte.

Elias si distese, sostenendosi sui gomiti, e io feci lo stesso, cercando di riempirmi gli occhi di quanta più Bellezza potessi.

Il cuore aveva ancora una pulsazione irregolare, per la fatica e l'adrenalina. Non mi voltai neanche per un secondo verso il mio collega, improvvisato re con una corona floreale tra i capelli, per non peggiorarla.

Negavo di poterlo includere nella mia concezione di Bellezza.

Eppure avevo proprio voglia di girarmi a guardarlo.

Ho lasciato passare tanto, troppo tempo prima di pubblicare questa nuova parte, lo so e mi scuso

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Ho lasciato passare tanto, troppo tempo prima di pubblicare questa nuova parte, lo so e mi scuso. Purtroppo capitano periodi di indecisione sulla forma dei capitoli, e periodi invece in cui sono decisa al cento per cento. Io sono così, sono lenta nella scrittura, rifletto molto su quello che scrivo, rifletto più di quello che effettivamente scrivo, affinchè tutto sia studiato bene. Fatemi sapere le vostre impressioni su questo capitolo. Un abbraccio a tutti e buona serata!

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now