Capitolo 36.2

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Se avessi avuto un nuovo desiderio da esprimere per quella giornata, avrei scritto che ci tenevo a incrociare i miei passi con i suoi e ringraziarlo davvero.

Non per Emma, non per suo padre.

Per me.

Almeno fino a qusto momento. Schiusi le labbra accorgendomi che il ragazzo era appoggiato di spalla alla mia porta di casa, lo sguardo pensieroso tenuto in alto, a guardare con i suoi colori misti e sfavillanti le stelle.

In quella svogliata posa, Zeno era una visione a cui non ero preparata, una tela di nero staccata da un cavalletto di un artista sovrumano, una compagine di bellezza e oscurità, che serviva, maledetto, il cielo notturno che tanto mi piaceva guardare.

Abbassò lo sguardo, quando mi mossi più indecisa, rallentando nell'andargli incontro, e il suo verde e il suo blu si mescolarono in un'espressione contemplativa che mi fece quasi inciampare dall'imbarazzo.

Mi stava osservando come se ogni secondo di camminata verso di lui fosse irripetibile, come se cercasse di catturare quella magia di Saiph che lui aveva lasciato in me dalle mie forme.

Il suo atteggiamento rilassato diceva che aveva sempre pensato di avere il diritto di farsi trovare alla mia porta, ma soltanto ora aveva avuto la sfrontata volontà di farlo.

Era così cambiato.

Il mio Lie.

Aveva il viso più singolare che avessi mai visto, i suoi zigomi scuri parevano dissuadere da ogni sanità, aveva addosso quella dannata fioritura magica dalle tonalità cupe e inesplicabili, il cui immaginario profumo avvelenava la ragione.

I ciuffi biondi dei capelli si sfumavano sulla fronte del peccato nero, la tatuatura dei miei desideri lo rendeva più maturo, sembrava essere ormai completa, e la sua eterocromia essere l'unico, strabiliante, nodo di luce.

Giunsi davanti a Zeno, non sapendo che cosa fissare, per non far trapelare dalla mia espressione quanto fossi dispiaciuta per lui, e al tempo stesso, nervosa.

«Sono pigro. Non mi sposto, Ester», informò, con un timbro di voce che mi solleticò a trovare i suoi occhi, a farmi distrarre ancora una volta dalla loro dualità. «Se vuoi entrare in casa, dovrai aprire la serratura con me appoggiato alla porta.»

Stava dicendo sul serio, probabilmente sapeva che i miei erano fuori città due giorni, il suo sguardo si era abbassato con sicurezza alla mia borsa, in attesa che mi decidessi a prendere la chiave.

Ciò rese ancora più scomodo il gesto di infilare la mano tra le pieghe di stoffa, provando a non considerare la sua spavalderia, e rovistare tra i miei oggetti per afferrarla, pensando a come rispondere.

«Sei stato tu a dirmi che senza un tetto...» ribattei, senza finire la frase, e il suo sopracciglio dorato si alzò facendomi capire che non lo pensava affatto, ora come ora.

«Ho già guardato abbastanza il cielo, mentre attendevo il tuo arrivo.»

Mossi la chiave verso di lui, il mio braccio passò orizzontale agli addominali del ragazzo, sfiorando la sua maglia, sentii il suo fisico provocare fin da lì, mentre il suo viso nero con diamante verde e blu era poco sopra la mia testa, e non smetteva di fissarmi.

La girai nella serratura, avvertii la sua pressione nell'attesa, la necessità di scoprire che cosa avrei fatto con lui, se avrei avuto la volontà di assecondarlo o meno, dopo aver visto come era diventato.

Quando la porta si sbloccò, la sua apertura obbligò Zeno a scostare la spalla, controvoglia, e lasciarmi spazio per entrare per prima, a voltarmi sulla soglia.

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now