Capitolo 30.1

2.1K 48 52
                                    

Baco da seta

Dopo aver tessuto un bozzolo di filo serico, facendone una matassa bianca e lucida da lasciare sulle foglie caduche, il Bombice del gelso si libra con ali di farfalla. I bachicoltori, in gergo, lo chiamano "salire al bosco".

Veronica Filiformis, di un viola complicato, violento, paralizzante, incideva con grappoli concentrati di colore le superfici piane della mobilia, mentre camminavo in quella che pareva una Bottega stravolta.

Era un negozio in cui mi recavo spesso, il mio posto di lavoro, eppure stentavo a riconoscerlo, quella tonalità violacea era incantatrice, aggressiva, ed era l'unica presente, quasi cercasse di rafforzare un messaggio.

Un messaggio che ancora mi ostinavo a respingere, a scalciare, e che per questo, era insolitamente doloroso da avere davanti, anche se solo per un giorno.

«Stai bene?» si assicurò Emma, parlandomi a voce appena udibile, come se quella invadente tonalità potesse staccarsi dalle piante, offensiva. «Mamma ha voluto adornare gli spazi a mono tema, oggi.»

«Lo vedo», commentai, in tono meccanico, infastidito, superando Elias senza nemmeno guardarlo, per timore di non vedere altro che quel dannato viola mescolarsi alle ombre sotto alle sue fuggevoli ciglia.

«Occhi divini», mi giunse all'orecchio, ancora vicina al ragazzo, una catena di ferro che lui mi stava mettendo con due semplici e odiose parole, obbligandomi a sentire il loro peso strisciare su terre desolate in me.

Resistei a Elias, al polo di disturbante attrazione che esercitava su di me, al significato di quella Veronica Filiformis posizionata per lui, e non mi voltai.

Sentii lo sguardo giudicante di Emma, e il suo disappunto da come sollevò le sopracciglia per poi girarsi brevemente indietro a solidarizzare con lui, anche se in poche ore non sarebbe più stato un collega. Più niente.

«È il suo ultimo giorno», mi riprese lei, come se non ci fosse già sufficiente colore uniforme, a tradimento in quell'ambiente, per sottolinearlo. «Quei fiori sono chiamati occhi divini perché tutti noi...»

Fermai di botto la camminata, prima che potesse finire la frase, prima che potesse farmi sentire ancora quello che già esalava da ogni calice ricurvo, schiaffi di viola sulle nostre guance.

«Lo so perché.»

La Veronica era quell'arrivederci che proprio non volevo dare, era usata per salutare un amico che stava partendo, augurando che il cielo potesse guidarlo nei suoi nuovi passi, seguendo il detto che fosse un fiore dell'oltremondo, occhi strappati da una generosa divinità.

«Ah... allora tu...»

La mia amica aveva adesso un'espressione sgranata, pareva arrivare alla colpevole conclusione che la mia arcigna durezza nei confronti di Elias dovesse essere solo una facciata per tenere al sicuro la mia fragilità.

«Io non sopporto gli occhi divini», ammisi, con una chiarezza e una sincerità che mi spaventò, e un momento dopo, avvertii un frusciare di foglie, scostate in uno dei vasi vicini, e uno stiramento di quello che poteva essere un gambo.

Lo sguardo di Emma mi oltrepassò, tirato dallo stupore, e subito, la Berti si affiancò a noi, distraendo la figlia e impartendole di andare da una signora che era appena entrata per un thè floreale.

Non disse niente a me, mi ignorò, allontanandosi dietro di lei, forse perché ero arrivata da poco in quell'anatema viola che era il suo negozio, o perché era più empatica di quanto credessi, e le mie parole l'avevano dissuasa dal mettermi in prima linea con una cliente.

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now