Capitolo 34.2

1.7K 40 25
                                    

Nella luce del nostro astro, sai, sento di avere ossa di diamante, e sogni candidi di neve.

«Guardi sempre in su», mi fece notare Finntal, con casuale noncuranza, come se ne avesse intuito il motivo, e allo stesso tempo, non lo riguardasse.

Era normale, per i Lie che incrociavamo in cammino, non fare caso a che cosa accadesse sopra di loro, così come lo era per lui, che non si era mai disturbato a controllare.

«Non cadono», aggiunse, in un sussurro appena udibile, che colsi soltanto perché mi era di fianco, abbastanza da sembrare fossimo almeno conoscenti.

Era vero, non sarebbero caduti, l'aria pareva tenerli a sé con gentilezza, come a proteggerli dal fiume dei desideri in cui non avevano ancora fatto un bagno, ed essere disposta a trasportarli ovunque volessero.

In alto vi era quasi più traffico che nella via in cui lui mi stava conducendo, persone di ogni tipo volavano a Orobianco, da molteplici angolazioni, stupendomi nei loro particolari tratti del viso, nessuno anonimo, ciascuno nella propria singolare appariscenza.

Immaginai Zeno lassù, doveva aver volato anche lui qui, un periodo, con i suoi occhi come frantumi blu di vetro temperato, e verdi di biglie all'uranio, con i muscoli in tensione nelle spalle ancora così chiare, più del Myrio che affluiva nel Territorio.

«Non ci sono abituata», ammisi, riabbassando lo sguardo, e facendolo posare sull'ampia schiena di Finntal, che superandomi di un passo, come una curva ingrossata di un'onda acquea prima di rompersi, si stava piegando a cogliere una piccola borsa di stoffa marrone, dai tintinnanti campanelli, che era scivolata dal braccio di una ragazza dai capelli neri come il miglior liquore di mirto, nello scontro maldestro con un'altra.

Dopo essersi tirato di nuovo in piedi, Finntal la rigirò nella sua mano, osservando con un'espressione impassibile la polvere d'oro che era fuoriuscita dall'interno sulle sue dita, prima di riporgerla, silenzioso e rispettoso, alla sua proprietaria.

Lei schiuse subito le labbra tonde, attesi una frase di ringraziamento in Tarkh per l'accortezza che aveva mostrato lui nell'aiutarla, disinteressato, invece nulla, da quando Finntal aveva rialzato il viso e il cappuccio si era pieghettato all'indietro, lei sembrava proprio a disagio, come se non avesse idea di come rispondere.

Gli fece soltanto un leggero cenno intimidito, guardandomi poi come se fossi altamente fuori posto vicino a lui, occhiata che potevo alla lontana giustificare, non essendo io una Lie come lei, ma che non apprezzai.

«Se fosse accaduto nel mio pianeta, scommetto che non sarebbe più stata in grado di proseguire per la sua strada», mi divertii a ipotizzare, mentre Finntal si risistemava alcuni ciuffi di capelli color ruggine che si erano inavvertitamente liberati, sotto la pelliccia del cappuccio.

«Sarebbe stato paradossale fermarla per questo. In occasione del Guarh, si trova polvere così ovunque, a Orobianco», minimizzò lui, svoltando in un altro percorso, ancora più affollato di Lie, che discutevano con animosità.

Pensare che a ognuno sarebbero stati assegnati dei desideri umani, prima o poi, da realizzare con la discesa sulla Terra, mi faceva fantasticare su quali avrebbero potuto essere i loro futuri, e che cosa ne avrebbero pensato.

«Perciò è comune tenerla con sé.»

«Fahl nu imsar, yal Ester.»

Mi spiazzò ascoltare di nuovo il mio nome in una frase pronunciata nella lingua del popolo delle stelle, era come poter essere una di loro, di fianco a lui, poter essere considerata più di una visitatrice.

«Dunque, vediamo. No?» provai.

Sorrise, di traverso.

«Ho detto di non essere frettolosa.»

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now