Capitolo 27.1

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                                                            Trasparenze



Crisopali di universo, sotto la mia pelle bagnata, livori di stelle franti in interstizi di magia, resi tremuli dal mio affanno per lui.

Il rubinetto gettava acqua sulle mie mani, chiara come una fontana, lasciando gocce gelate su quelle dita che continuavo a fissare, come se non mi appartenessero più, come se fossero un incavo di Saiph.

Zeno aveva frantumato la sua passione nel mio corpo, quella sontuosa notte, incensando parte di sé stesso e della sua galassia in me.

O forse era stata solo una proiezione mentale, la presenza stessa di Emar nei miei pensieri onirici, come se l'atto di riflettere su di lui durante il giorno lo avesse trascinato nel mio sonno.

Non potevo saperlo, eppure mi guardavo le mani in modo diverso ora, mentre pulivo il ramo di un Calicanto d'Inverno per un matrimonio, cercando insistentemente tracce visibili di qualcosa non di questo mondo.

Superluminale, ero stata chiamata, una parola così tecnica, precisa.

Una quotidianità spaccata a metà tra la terra e il cielo, come i remi di una chiatta itinerante in un estuario di coste cosmiche confinanti a quelle terrestri.

«Il Chimonanthus praecox è una scelta che non condivido.» sentii alle mie spalle, insieme a dei passi che si fermarono vicini a me, leggiadri e al contempo in grado di frangere la pavimentazione di ogni stanza e sala della Bottega, come se fosse piastrellata di Cristallo di Rocca.

Girai la manopola, scrollando il fiore invernale nel lavello di acciaio, facendolo sgocciolare come la mia chiglia sollevata da una piena di emozione per il suo ritorno e quasi capovolta, dopodiché mi voltai.

Mareggiate scure e risacche nei suoi capelli, lune nere nei suoi occhi implosi di buio; il ragazzo mi guardava il viso come se avesse voluto spegnerlo con sé in una incendiaria catastrofe senza superstiti.

«Elias...»

Spostò lo sguardo al Calicanto che era scivolato dalla mia presa al suo nome, per finire sul ripiano ligneo come un'esplosione di giallo, il suo profumo liberato tra noi, respirato, umido e delicato, nella stessa aria.

Lo riportò a me, la fronte chiara come lavorata da un marmista, le sue ciocche come boccali di ellebori neri ricadenti, le sopracciglia marcate in linee impervie.

«Non è quella giusta per due sposi.» rincarò flebilmente, arricciando le labbra.

La sua critica mi avrebbe fatta dubitare, se solo la scelta di quel classico fiore per le nozze nella stagione del freddo di una nostra cliente fosse stata mia; invece, non lo era, ma dubitai comunque.

«Secondo la Berti, lo è.» lo informai, continuando a risucchiare voluttuosa oscurità dai suoi occhi, rialzati nei miei, e a farmi a mia volta risucchiare, in un effluvio che accelerava pian piano i miei battiti, tonfi sordi nel petto.

«Lo ha deciso lei?»

«Sì, su suggerimento tra colleghi, anche se Emma aveva nominato la Strelitzia o l'Orchidea, mentre io... niente.»

Lo sguardo di Elias si snebbiò alla mia ammissione, forse intuendo che non andavo fiera di non essere stata di aiuto per quel lavoro.

Si tolse la giacca, facendomi realizzare solo in quel momento che doveva essere appena arrivato dal viaggio di Monte Isola, e che era venuto a cercarmi prima di svestirsi e mettersi a suo agio.

Rimase in una maglia dal color oceanico, che ricordava il riflesso cobalto sui suoi capelli, e si abbinava all'inondazione che poteva far sentire, silenziosamente, quando voleva.

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now