Capitolo 29.1

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                                                                   Ellisse

Una tenebra si mosse dai portici, frapponendosi al mio ingresso di casa con un viso come un quadro d'arte astratta, toccato e rivendicato da una notte magica, e occhi che avrebbero potuto sfrigolare di luci il completo telo celeste.

Un fulgore imbottigliava Assenzio, Fata Verde, bevanda amara in grado di stregare poeti e pittori maledetti che la trangugiavano per invocare ispirazione; un altro, Acquavite di Genziana, alcol mescolato a petali blu in un calice di vetro diamantato.

Seppur protetto da un cappuccio imbottito di lana, era difficile separare Zeno dall'abbraccio delle ombre; il mio ultimo desiderio, o quella cosa che ne tracciava l'evoluzione, si era sradicato su una delle sue guance, districandosi da una tempia, e dannandone il pallore.

Il nero espansivo di Saiph possedeva il suo corpo molto più di quanto fossi disposta ad ammettere, scendendo in orpelli tanto sinuosi quanto terrificanti, che curvavano sotto il suo labbro inferiore, vibrante di energia.

Di una bellezza corrosiva.

Invadente, il buio liquido della sua stella padrona aveva continuato a scavare nuovi cunicoli nella sua rocciosa pelle, finendo per riversarsi ora, goccia nera dopo goccia, nel vaso della mia anima.

«Accelerare mentre si sta volando dà una illusoria sensazione di velocità sul tempo, che assuefà», ammise, scoprendo i capelli chiari, arruffati come spighe di grano mature ondeggiate dallo scirocco.

Lo sguardo di Zeno si soffermò sulle mie movenze, le temprò di universali luci, che avvertii esplodermi nella pancia, mentre mi avvicinavo al campo magnetico che era lui, come stella e come ragazzo.

«Dove sei stato?» mormorai, accarezzando con gli occhi i suoi sfingei lineamenti, lasciandomi condurre in una giravolta di oscurità dai simboli neri curvati su una metà del suo viso.

Quella k allungabile, capace di fare torsioni, di replicarsi ancora e ancora, di imporre la sua supremazia sottopelle, mi teneva stretta per mano, facendomi ballare una tetra e peccaminosa danza nei pensieri.

«A schiacciare i secondi di buio, Ester, a sentirli fischiare di gelido dolore nell'aria mentre la sera e le nuvole mi attraversavano dalla testa ai piedi, crogiolandomi in una fasulla percezione di me», rispose, nella voce una frustrazione che avvertivo strangolarlo da dentro, con un cerchio di parole spinate.

Mi accorsi di essere più vicina a lui di quanto avrei dovuto, come se il mio corpo si fosse stancato di combattere per restare lontano da quel magnetismo cosmico, come se non potesse fare altro che riconoscere le falle della mia ostinazione.

«Tu... puoi essere anche più lento del tempo, Zeno», bisbigliai, attirata dai tremolii di luminoso e disperato languore nelle sue iridi, che parevano poter detronizzare le ombre del porticato. «Ma... lo hai sorpreso lo stesso più volte con la tua rapidità nell'agire. Lo hai... lo hai... superato con me.»

Lo stupore passò nei suoi occhi, insieme a un'atavica tristezza e a una distruttiva rabbia per il cielo, per la terra, per qualcosa di sé che non riuscivo a comprendere.

Restò alcuni istanti a sentire il mio respiro, ritmicamente sfalsato, con uno sguardo che pareva voler arrivare oltre i miei vestiti, per incagliarsi dentro lo scheletro, a confortare il mio cuore come se fosse quel suo che non aveva mai ricevuto.

Infine, allungò una mano scurita sui miei capelli, incantando la mia nuca con una carezza delicata come cristalli di sale sulla pelle, mentre io sospiravo al tatuaggio di non prendere più altro di me per annerire lui, di ignorare la promessa magica di Saiph.

«Sono intrinsecamente debole», mi confessò lui, specchio nero dei miei desideri, in un sussurro talmente rassegnato e sofferto che mi sembrò di vedere più fragile umanità di quanta ne avessi io. «E a volte ancora disperdo energie a negarlo.»

«Tu... sei andato da lei?» domandai, perdendomi nei chiaroscuri sulla tela aliena della sua espressione, come se vi potessi osservare il momento calante di un ciclo di lunazione da un'altra angolazione.

«Da Saiph?» si sorprese, ritraendo le sue dita accorte, eppure desiose, capaci di infiammare perfino la sera, penetrando a fondo nella sua oscurità. «No, non sono risalito così tanto, non potrei andare da lei neanche volendolo.»

«Io credevo che tu... che tu potessi», commentai, la mia frase un arcolaio con cui avrei voluto ridurre in gomitoli da srotolare le matasse di enigmi del cielo, di lui.

Zeno si volse a studiare il riflesso brillante da una vetrata di casa, e forse avendo scrupoli sull'orario in cui si era presentato, si scostò come se non avesse alcuna intenzione di farmi restare fuori.

«No, il viaggio in discesa per la Terra, così come quello in salita per Orione, non è rimesso alla mia iniziativa personale, ma a quella della stella stessa, e nello specifico a quella della trazione dei suoi Rih.»

«Rih?» ripetei, a fior di labbra, udendo il suono di quelle tre brevi sillabe venire accolto con estrema benevolenza dall'aria, e amplificarsi fino a giungere nell'infinito, come nessun'altra parola.

«Inopponibili, essenziali», definì, e sotto le sue ciglia, il blu come Labradorite lucida pareva essere sul punto di aggredire la sera, di farla esplodere di nefaste luci, mentre il verde diamantino cercava di dissuaderlo. «Diversi da noialtri

Stavo per chiedere chi o che cosa fossero, ma il silenzio si abbatté tra noi, nel momento in cui io afferrai la mano di Zeno, voltatosi di profilo per lasciarmi libera di salutarlo ed entrare nel mio appartamento, e un candido bagliore circolò attorno ai nostri polsi.

Fresco ma rassicurante, pizzicava ora la mia pelle, la chiudeva come una cupola trasparente e scintillante, facendomi sentire un tutt'uno con il ragazzo, come se in quel punto di contatto non ci fossi più io e non ci fosse più lui, come se fossimo una persona sola, due metà di un unico astro.

Eravamo irrigiditi, entrambi a fissare in basso, a riconoscere l'imprevedibilità di quella sensazione, ad abituarci a sentire la magia grezza che ci avviluppava insieme come mai era accaduto prima, neanche nella nostra intimità.

«Ester...», mi chiamò lui, con voce roca, dopo alcuni istanti di placida meraviglia, muovendosi a chiudere le mie dita nel suo palmo in un movimento sicuro che mi fece avvertire tutto il plutonio di una bomba nucleare inesplosa. «Proviene da te.»

Fondamenta scosse, spaccature nella mia anima, voragini in cui mi sto accartocciando,  rovinando con ogni vecchio e usurato pezzo di me, sbattendo in un cumulo di disordinati rottami.

Siamo arrivati a giovedì sera e io ho pensato di inaugurarlo con il nostro Zeno, e una ventata di magia! Era da un po' che non lo vedevamo, spero vi abbia incuriositi e affascinati a dovere, con i suoi conflitti interiori ❤ Inoltre, pare proprio c...

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Siamo arrivati a giovedì sera e io ho pensato di inaugurarlo con il nostro Zeno, e una ventata di magia! Era da un po' che non lo vedevamo, spero vi abbia incuriositi e affascinati a dovere, con i suoi conflitti interiori ❤ Inoltre, pare proprio che Ester stia andando incontro a una nuova parte di sé! E i Rih che abbiamo sentito nominare? *__* Fatemi sapere nei commenti come vi è sembrato il capitolo, mi fa un immenso piacere sentirvi.

Ah, come ho accennato su IG, non fatevi trarre in inganno dal titolo: la geometria non mi è mai piaciuta ;-D

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now