Capitolo 6.2

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Nove di sera.

Fiesole era avvolta in una gelata quiete, come una rosa canina chiusa in una campana di vetro.

Rincasai nel silenzio, più serena di come ero partita, con le risate della mia amica ancora nei pensieri.

I miei genitori erano andati a cenare da alcuni amici di vecchia data, era probabile che non li avrei incontrati fino all'indomani.

Entrai in camera, con l'idea di rilassarmi davanti a un buon libro, prima di crollare a dormire, ma mi bloccai presto, lasciando cadere la borsa a terra, in un tonfo.

Fuori, appoggiato alla ringhiera laccata del mio balcone, c'era un ragazzo.

Attesi che il miraggio sparisse, e io tornassi alla mia solitudine in quella casa, ma nemmeno un pizzicotto fece effetto.

Capelli biondi e spettinati, arricciati dal vento.

Occhi spaziali.

Lui era sempre lì, a farmi segno di aprirgli la finestra.

Sembrava impaziente.

D'improvviso, non avevo più voglia di perdermi nelle pagine di carta, ma nei baci rubati di una certa stella calda fatta a uomo.

Lo feci entrare, ancora scioccata, e lo trovai a pochi centimetri di distanza, nel mio angolo privato, avventato come non mai.

«Zeno?!»

I suoi occhi eterocromi scesero sul mio corpo, e si soffermarono sui miei fianchi, facendomi sentire un plotone di farfalle nello stomaco.

«Scusa, ti ho spaventata.»

«Che cosa ci fai qui?»

Sarebbe stato più sensato domandargli come fosse arrivato fino al secondo piano, ma pensare ora mi risultava così faticoso.

Guardò il letto immacolato accanto a noi, poi tornò di nuovo su di me, esprimendo una sensualità dirompente.

Ormai avevo perso il conto di quanti battiti aveva fatto fare in più al mio povero cuore.

Si chinò su di me e in pochi respiri la sua bocca fu nella mia. Solo la luna e le stelle potevano vederci, dalla finestra ancora spalancata.

Mi aggrappai a lui, passandogli le braccia intorno al collo, e lui si spinse contro il mio corpo, facendomi indietreggiare fino al materasso.

Inarcai la schiena, e un gemito mi sfuggì tra le sue labbra, mentre continuavamo a scambiarci roventi baci che sapevano di ultraterreno e terreno insieme.

Ritorno.

Zeno era ritornato, come aveva detto l'anziana indovina di Montefioralle.

E che ritorno!

Ancora non ci credevo, era troppo.

Avremmo potuto chiudere a chiave la porta, serrare la finestra e le tende, e continuare, ma lui si fermò, facendomi sentire da un lato sollevata, dall'altro delusa.

«Scusa, di nuovo», parlò, rammaricandosi. «Non ne faccio una giusta questa sera.»

Lo guardai con aria interrogativa, e per risposta, lui si avviò verso il balcone. Se ne stava già andando? Così? Avrei voluto abbracciarlo di schiena, trattenerlo ancora, dirgli che non mi bastava.

«Sono venuto per portarti via», mi anticipò, mentre io ne seguivo la linea del torso, marchiata da una fioca luce che attraversava il vetro. «Adesso, subito, prima che non risponda più di me e scelga di rimanere in camera tua.»

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now