Capitolo 4.1

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Il cielo ci osserva

«Tra poco lo rivedo, nonna.»

Era già trascorsa una mezz'ora. Iside sonnecchiava ancora nel letto, la mente malata in visita a chissà quale posto onirico.

Pregavo che lì avesse quel sollievo che qui non aveva, e che dovunque fosse, potesse ritrovare quelle parti della sua identità che aveva perduto.

Riabbracciale, stringile caramente a te.

Spesso mi chiedevo a che cosa servisse vivere se poi non si sapeva nemmeno più di averlo fatto.

Era un triste controsenso. Non lo capivo.

«Si chiama Zeno», proseguii; la quiete del suo respiro stabile, profondo, beatificava l'ampia camera dai tendaggi color miele, intrisi di sole.

Lei non si mosse, la mia voce doveva arrivarle lontana, come un eco. Ovattata.

Trattienile, curale.

«Il ragazzo che aveva il nostro foglietto», specificai, prima che una strana sensazione mi serrasse la gola, costringendomi al silenzio.

Curiosità, ansia, o eccitazione. Non potevo distinguere quale prevalesse. Erano insieme, un unico blocco di marmo che pesava sulle mie corde vocali.

Mancava solo un'ora all'appuntamento, e io non ero ancora riuscita ad allentare neanche la tensione che mi irrigidiva i muscoli.

Credevo che trascorrere del tempo con Iside mi avrebbe distesa, calmata, ma era chiaro che avessi sopravvalutato me stessa.

«Scoprirò anche per te la sua storia.»

Senza nesso, senza logica, ti prendo. Sei quel libro che non posso fare a meno di aprire, quelle parole che non so come smettere di leggere.

Ero in anticipo.

Partendo da piazza Mino, la principale di Fiesole, avevo camminato lungo via Verdi e via di Monte Ceceri, per un tratto che, pur conoscendo bene, mi era parso non finire più, quasi si fosse allungato con gli anni.

Mi ero fermata vicino a un cartello con la mappa dei sentieri, proprio all'ingresso B del Parco, il punto dove Zeno mi aveva detto di venire.

Portavo scarpe comode, sapendo che le vie nella natura erano per buona parte in salita. Non volevo fare la figura di quella che aveva male ai piedi, una volta giunta allo spiazzo sulla vetta della collina.

Per il resto avevo legato i capelli ondulati in una pratica coda, abbinando un paio di orecchini pendenti, e indossato una camicia bianca dentro jeans stretti fino alle caviglie, che reputavo i miei preferiti per come mi stavano.

Lo sguardo restituito dallo specchio prima di uscire era stato quello di una Ester al naturale, con un ombretto rosato dai riflessi rame sugli occhi marroni, appena accennato, e un leggero mascara nero.

Un viso sorridente, seppur incerto.

Lo avrei atteso lì, ma se lui avesse cambiato idea? O avesse avuto un contrattempo? Non avrebbe potuto avvertirmi, perché non aveva il mio numero, e io non avevo il suo.

Dovevo fidarmi.

Erano scoccate le tre.

Sotto i raggi del sole ottobrino, finalmente una figura maschile si delineò all'orizzonte.

Ne riconobbi subito il fisico alto, e la giacca a vento scura, in contrasto con i capelli biondi, grani e fili d'oro riverberati di luce.

Saiph - La mia stellaWo Geschichten leben. Entdecke jetzt