Capitolo 21.2

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La prima volta che era entrato alla Bottega, una folata di aria ghiacciata era arrivata fino al mio viso, insieme ad alcuni fiocchi bianchi.

Io avevo guardato il ragazzo nuovo scrollare l'ombrello all'ingresso, e passarsi una mano inguantata sui capelli arruffati.

Sul suo impermeabile scuro era rimasto un sottile velo cristallino, e io avevo pensato che quella variante fosse simile al colore dei suoi occhi.

Incrocio di notte e nevischio, dietro a una lastra di vetro lucido.

Si era avvicinato a noi, silenzioso, quasi temesse di disturbare; nello sguardo una inespressività che richiamava il maltempo con cui si era presentato.

Aveva parlato poco, le parole rimaste sotto a un manto di neve, quella che doveva essergli entrata in gola mentre attraversava Firenze per raggiungerci.

Era stato affiancato a Emma, dovendo subito estrarre i fiori appassiti da alcune esposizioni, un lavoro ripetitivo che nessuno voleva fare.

Li aveva riposti in una cesta, e prima di buttarli via, li aveva guardati uno a uno, come se meritassero anche così, nella loro decadenza.

Il ragazzo venuto con il ghiaccio, aveva tenuto i boccioli sfioriti tra le mani con più delicatezza di quanto avessi fatto io in quella mattina imbiancata.

I suoi modi mi inducevano a volerlo scalfire, rigare, ma neanche col passare dei mesi ero riuscita a capire come, e alla fine la sua pietra era rimasta intatta.

«Va bene, finiamolo.» si decise Elias, allentando la stretta sulla mia mano, lasciandomi prendere una manciata di metà di cuori di carta dal suo palmo.

Il sollievo che provai mi fece alzare gli angoli della bocca in un sorriso che lui non vide, perché era già intento a srotolare lo spago verde e a tagliarlo con i denti.

Sentii le voci di Zeno con l'altra ragazza, stavano decidendo come legare il fiore affinché non si sfasciasse subito, parevano a un momento critico del lavoro.

Non lo controllai, non volevo rovinare i nostri rispettivi momenti creativi, soprattutto non ora che lui era meno ostile grazie a quel sì che aveva barattato per un bacio mancato.

Scelsi cinque metà di cuori di Elias e cinque mie da incollare, e dalla loro unione formai i petali del fiore, la simbologia di quel gesto sotto i nostri occhi.

Nei suoi, pareva che una congela scura si fosse sciolta, acquosa, e la sua corrente, così lenta, carezzevole sulle mie dita laboriose, ora addirittura riscaldasse.

Non ressi il calore che mi faceva sentire, soffermandosi sui nostri cuori di carta incollati, posai la corolla finta davanti a lui, che ora pareva così vera.

«Chi è che ha paura, adesso?» mi restituì.

Non sapevo che cosa rispondere, guardai l'abbozzo di Nontiscordardimé, e quando udii il ragazzo muoversi verso di me, era già successo.

Aveva invaso il mio spazio, si sorreggeva con le braccia, un fiore di ghiaccio nero, tagliente, il suo petto sulla stessa linea delle mie labbra.

Il respiro mi si incastrò per la sorpresa, e per un lungo attimo non sentii assolutamente niente, nessun rumore più intorno a me, nessuna voce.

Una mano di Elias rovistò oltre la coperta, e dalla terra dietro di me raccolse qualcosa che portò poi di fronte al mio sguardo sbarrato.

«Questo rametto ci servirà.» disse, dopodiché si ritirò a gattoni, e tornò seduto come prima, senza aggiungere altro o guardarmi.

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now