Capitolo 18.2

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Ero senza coordinate.

Sperduta in quel luogo dai confini evanescenti. Il mio istinto, la sola bussola.

Mossi i primi passi verso...non sapevo neanche io che cosa. Intorno a me, erano addensate nubi scure e chiare, pregne di luminosità. Dove era il passaggio?

Cercavo una via sgombera che poteva essere introvabile. Tutto era fluttuante, arioso, a eccezione del terreno, così ruvido, arido, di pietra grezza. La calura era elevata, la sentivo sulla pianta dei piedi, proveniva dal basso, come se stessi calpestando la vetta di un vulcano. Poteva essere fatale, eppure non mi faceva niente. Stavo bene, non sudavo neanche. Sembravo immune al pericolo. La luce filtrata da quelle nubi non mi affaticava neppure la vista.

Andai a tentativi, fino a quando un bagliore blu nella foschia non mi colpì: due occhi mi spiavano dietro a un muro gassoso che pian piano si diradava.

«Chi...sei?» chiesi.

Quella cosa, quel qualcuno continuò a fissarmi, mentre un varco si apriva tra noi e la curiosità rischiava di farmi andare in malora il cervello.

Si mostrò a me, senza presentazioni, senza saluto, il suo viso benevolo seppur altezzoso, effigie trascendentale di ricercata bellezza.

Lunghi capelli scarlatti frusciavano su spalle lattee e sinuose, scendevano lisci lungo le coppe abbondanti dei seni e fino ai fianchi, fasciati da una veste luccicante intarsiata d'oro.

Sulla fronte, un simbolo azzurro che sembrava riverberare la luce sotto le sue delicate ciglia, una lettera scolpita da un artigiano angelico: k.

La gola mi si seccò, lo sguardo cadde in trance su di lei, a subire l'incanto femmineo, a contemplare quanto in confronto io fossi anonima.

Non aveva età, era il vanto di quel luogo offuscato, la perfezione che scoppiava all'apertura di un bocciolo di rosa rossa.

«Chi sei?» riprovai.

Lei si avvicinò con un sorriso d'estate che mi scaldò il cuore, facendomi sentire meno sola in quel luogo senza punti di riferimento, e la sua mano calò su di me.

Una carezza? Sì, imprevista, come un uccellino che spiccava il volo da un ramo per confondersi con il cielo, e spontanea, come il suo cinguettio libero alla luce del sole.

Ritrasse il braccio flessuoso, un gesto che lasciò la mia pelle di nuovo esposta alla nuvolosità che stava richiudendosi su di noi.

«Torna giù.» disse.

La viola sul cuscino fu la prima cosa che vidi non appena mi svegliai. Era lì a darmi il buongiorno, stesa accanto al mio viso assonnato.

Anche se avevo chiuso la porta dietro di me, il pensiero di Elias era rimasto con me nel letto; lo avevo tenuto vicino, guardandolo fino ad addormentarmi.

Il volto della persona che ameremo.

Elias se ne era uscito con quella leggenda, mi aveva mandata in confusione, aggiungendo un motivo all'insonnia che già avevo per Zeno.

La viola intrappolava, faceva restare ore a guardarla, succube dei pensieri.

Avevo cercato la speranza in lei, il viso della diceria, ma alla fine ero stata solo trasportata indietro nei ricordi dal suo profumo dolciastro.

Avevo rivissuto la passione consumata a Carzano con Zeno, fino a quando macchie larghe di nero erano passate sopra quella visione, cancellandola, oscurandomi ancora la vista di bagnato dispiacere.

Ed ero tornata a essere presa e alleggerita dalle braccia sicure di Elias, qualcuno che mi aveva aspettata inconsapevole, per asciugarmi le lacrime, senza lasciare che io mi occupassi prima delle sue.

Stropicciai le palpebre pesanti, e scesi dal materasso, ripensando alla carezza ricevuta da quella donna sconosciuta.

Il simbolo k sulla sua fronte era lo stesso che aveva avuto Zeno sul polso, prima che sconfinasse quasi ovunque sul suo fisico.

Ester, era solo un sogno.

Infilai le ciabatte, spostandomi per la camera tutta ammaccata, il residuo della notte più magica e sottosopra della mia vita.

Cercai il necessario per preparami alla giornata di lavoro come rappresentante della Bottega, ma il buio non aiutava.

Scostai le tende della finestra, la luce mi abbagliò, portandomi per reazione a strizzare gli occhi.

Non erano i soli raggi solari, vi era qualcos'altro che li rifletteva amplificandoli, e il mio cuore cantò la sorpresa.

Sui vetri erano rimasti minuscoli chicchi ambrati che brillavano, polveri che mi fecero tornare alla mente i baci di un certo ragazzo, e non solo quelli.

Sei arrivato fino a qui, Zeno. Eri fuori alla mia finestra, e io non lo sapevo.

Gli avevo detto di non seguirmi, ma la verità era che lui lo aveva fatto lo stesso, in ritardo, e questo, anche se non era di aiuto per nessuno, bastò a rallegrarmi fino a inumidirmi gli occhi.

Ormai non capivo più se ero felice o infelice, piangevo sorridendo. Per calmarmi, mi distrassi con il cellulare, aprendo i nuovi messaggi non letti.

"Come procede il lavoro? Tutto bene con Elias? A volte può chiudersi in un silenzio ostinato. Ah, mio padre ti saluta! Lo sai che in questi giorni mi ha detto di volersi impegnare per abbandonare la stazione?"

"Buona notizia, Emma!" inviai, sollevata per la mia amica, ma la risposta su Elias tardai a mandarla. La iniziai e la cancellai più volte.

Ogni frase mi sembrava banale rispetto a come si era comportato lui con me da quando eravamo partiti per Montisola.

"Elias è come un'eclissi lunare" digitai.

Già.

Un cono d'ombra si gettava nel suo sguardo, esteso, coprente, ma quando eravamo insieme... solo allora si attenuava.

Eccoci al nostro consueto appuntamento di fine settimana! Mi sono affezionata tanto a voi e a questa storia

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Eccoci al nostro consueto appuntamento di fine settimana! Mi sono affezionata tanto a voi e a questa storia. Fatemi sapere cosa pensate di questa nuova parte. Avete idee sul sogno di Ester? Il prossimo aggiornamento sarà disponibile domenica. Rivedremo Elias? Rivedremo Zeno? Chissà... A presto!

Saiph - La mia stellaWhere stories live. Discover now