15.

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Rimango in attesa per quelle che il mio cervello elabora come ore, quando in realtà si tratta di pochi minuti, ne sono certa. Ho sentito la sua voce da troppo poco tempo, quindi... niente, non riesco a rimanere focalizzata. Anche respirare mi causa dolore e onestamente ne sono terrorizzata. Non so cosa ci sia che non vada, ma sono sicura che qualcosa c'è, fa troppo male. La cosa positiva è che non perdo sangue, almeno credo. Non ha usato un coltello, ma mi ha assestato un bel pugno in faccia, potrei aver qualche graffio forse. Chiudo gli occhi, tentando di calmare il battito cardiaco ma respirare è diventato più doloroso di prima e non riesco a tranquillizzarmi. Voglio sapere cosa non va in me.
«Avery!»
«Dev?» mormoro, colma di speranza.
«Eccomi, sono qui» si accascia al mio fianco, prendendomi il volto tra le mani. «Dio santo» mormora.
Il suono della sirena di un'ambulanza mi rincuora – presto saprò se va tutto bene – e allo stesso tempo, mi terrorizza. Non capisco bene cosa succede nei minuti seguenti, so solo che caccio un urlo di dolore quando i due paramedici mi sollevano per depositarmi sulla barella. Purtroppo, non godo della vicinanza di Devon durante il tragitto ma non appena arrivo al pronto soccorso è svelto a seguirmi in sala. I paramedici informano il medico che si avvicina della mia condizione. Probabilmente ho una o più costole incrinate. Che spasso.
Vengo trascinata in radiologia per una risonanza magnetica. Quaranta minuti dopo ho l'esito: quinta e sesta costola incrinate, riposo di tre-quattro settimane e niente sforzi fisici eccessivi. Ingerisco il secondo antidolorifico come fosse l'unica cosa che mi mantiene in vita e forse è così. Per fortuna, riesco a trovare un modo per respirare più superficialmente e così attutire il dolore lancinante. Poco più tardi, mentre Devon mi osserva dalla sedia in cui si è accomodato per ascoltare il medico, un'infermiera si avvicina per disinfettare la ferita che ho in faccia. Non ho ancora preso uno specchio in mano, eppure, so già cosa vedrò. La vedo disinfettare il sopracciglio, poi applicare dei cerotti di sutura. «Riposati, va bene?» accarezza il mio viso e lascia la stanza.
Le concedo un sorriso, anche se non può vedermi e sposto l'attenzione sulle lenzuola spiegazzate del letto. È tutto più semplice quando sei tu il medico, sano e in salute, ma il contrario... il mio modo di reagire dimostra ancora una volta che non sono portata per questo mestiere. Il panico mi ha travolta, non ho capito un accidente di cosa stesse succedendo. Piuttosto che mantenere la lucidità e stilare delle possibili problematiche mi sono accovacciata e ho iniziato a singhiozzare come una perdente. E io avrei dovuto prendere una laurea in chirurgia... certo, come no. Questo incidente conferma che ho fatto bene a scappare in fretta e furia dal tirocinio e da Oxford.
«Beh, non male come terzo appuntamento, eh?» volto il capo in direzione del moro.
«Terzo?»
«Sì, il primo è stato alla casa abbandonata» rispondo.
«Quello lo definisci appuntamento?» sospira, portandosi una mano tra i capelli.
Ci rifletto su. Beh, in effetti... «Sì, sei passato a prendermi, ci abbiamo passato del tempo insieme, abbiamo parlato e poi mi hai riaccompagnata. Vale» faccio spallucce.
«Hai un'idea molto stramba di come dovrebbe essere un appuntamento» si alza dalla sedia.
Arcuo le sopracciglia, ma subito me ne pento. «Ahia» mormoro sfiorando la ferita. «Non dirmi che sei uno da fiori, cioccolatini e candele, Devon Bradshaw» lo prendo in giro bonariamente.
Posa una mano sul cuscino, accanto al volto e si china. «Anche se fosse? Abbiamo già appurato che non abbiamo avuto nessun appuntamento.»
Deglutisco, all'estrema vicinanza dei nostri visi. «Solo... allenamenti. Per la resistenza. Giusto?» chiedo con fare innocente.
«Per la resistenza» conferma, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.
Lo vedo studiare la mia ferita, posare gli occhi su ogni centimetro del mio viso. «Sono messa così male?»
«No. Sei sempre bella, non temere» mi rassicura.
Le sue parole mi fanno fremere. «Credi che io sia bella?»
«Non mi piace dire le bugie, Avery Miller» sfiora la mia guancia arrossata. Qui dentro fa parecchio caldo, eppure, il rossore che mi colora il volto non ha nulla a che vedere con i riscaldamenti dell'ospedale.
«Bene» mormoro. «Mi dai un bacio sulla bua?» sbatto le ciglia, per accalappiarlo.
Devon Bradshaw alza gli occhi al cielo emettendo un piccolo sospiro che dovrebbe darmi l'impressione di essere esasperato, ma in verità... è ben altro. Sfiora il mio labbro inferiore col pollice e poi si china, catturandolo con la sua bocca. Il contatto manda in tilt ogni terminazione nervosa. Sento sfrecciare in circolo dopamina, serotonina e adrenalina, catapultandomi in uno stato di beatitudine pura. Il modo in cui Devon mi sta baciando, con trasporto e sensualità, passione e attenzione mi destabilizza. Stringo il colletto della sua giacca e mugugno, è meraviglioso. Mi scosto solo quando la mancanza d'aria comincia a farsi sentire.
«Wow» biascico. Sembro strafatta. Potrei benissimo dare la colpa agli antidolorifici che mi intontiscono, ma in realtà sono i miei neurotrasmettitori che hanno superato il via almeno dieci volte mentre Devon mi baciava.
«Nemmeno questo riesce a farti stare zitta, incredibile» scuote il capo.
Stringo le labbra tra i denti e copio la sua azione. «Dovrò attendere un mese prima di tornare ad allenarmi» dico, guardandolo dritto negli occhi.
«Pazienza, ti metterò sotto non appena ti sarai ripresa.»
«Mi metterai sotto, eh?» annuisco, non distogliendo lo sguardo. «Mi piace stare sopra. Solo a titolo informativo, certo.»
Devon non ha il tempo di ribattere, la porta viene aperta da un Danny molto preoccupato, seguito da Tom.
«Mio Dio, Avery» si avvicina, poggiandomi una mano in testa.
«Ciao, D. Ciao, Tom» saluto due delle persone più belle di sempre.
Tom stringe la mia mano. «Come stai, tesoro?»
«Potrei stare meglio ma ho la pelle dura, non temete» li rassicuro con un sorriso.
«Devon mi ha detto dell'incidente. Sono sgattaiolato via come un delinquente dal mio stesso letto» dice Danny.
«E ha avvisato me. A Molly sarebbe preso un accidente se avesse saputo che sei finita in ospedale. Lo stesso per Vivienne. Abbiamo concordato che le avresti chiamate in mattinata, se per te va bene» prende parola Tom.
Annuisco. Questa mattina architettavo un modo per non farmi scoprire durante la permanenza nello studio di Vivienne, cercavo scuse per dirle del trasferimento e adesso... immagino che questo pestaggio sia servito a qualcosa, dopotutto. Certo, avrei preferito rimanere intatta ma pazienza, ormai è fatta.
«Conoscendo Vivienne, sai bene cosa ti dirà, giusto?»
Guardo Danny e sospiro. «Chiamo il signor Gamble domani stesso.»
«Scelta saggia» sorride Tom.
«Il medico ha detto che ci vorranno circa quattro settimane per le costole, non può stare da sola» li informa Devon.
«Cristo» Danny alza gli occhi al cielo. «Si sa niente del bastardo che l'ha picchiata?»
«Devo chiamare in banca e disattivare la carta di credito. Denunciare la scomparsa dei documenti. Mi ha preso il borsellino» spiego, stringendo gli occhi a causa di una fitta piuttosto dolorosa.
«Sarà una rogna, ma ce la farai» mi sorride Tom.
Ricambio il sorriso con meno entusiasmo. Me la caverò con la balla del monolocale, ma i documenti? Sarà uno stress non poter andare fisicamente in banca o al comune.
«Ti porto a casa non appena ti dimettono, okay?» Danny sfiora il mio viso.
Annuisco, ringraziandolo con lo sguardo.
«Ti porta a casa sua, Avery, non il buco in cui vivi» precisa Devon.
L'espressione dura di Danny mi rattristisce. Non gli piace che suo figlio non definisca il luogo in cui è cresciuto come casa e onestamente, non piace nemmeno a me. «Non c'è bisogno di specificare, Devon, lo avevo capito. E comunque è anche casa tua. Sempre a titolo informativo, ovvio» lo fumino.
Sta per aprire bocca, ma non glielo lascio fare. «Non lo so dove vivi, ma quella rimane casa tua. E non rifilarmi la storiella sul ragazzo che se n'è andato di casa perché sarebbe una stronzata» sposto lo sguardo sulle lenzuola, ma non prima di aver notato le espressioni attonite sul viso del padre e dello zio del signorino.
«Non sai niente, Avery» ringhia.
Che ringhiasse pure, magari è la volta buona che lo porto in un canile. Un bel sedativo e tornerà come nuovo.
«Stai facendo lo stronzo, questo lo so» stringo le braccia al petto. Me ne pento all'istante, quando il dolore si irradia come un bastardo. «Dannate costole» mormoro.
«Te la cavi solo perché sei in un letto d'ospedale, sappilo» mi punta un dito contro prima di avvicinarsi alla porta.
«Se domani non mi chiami ti strozzo!» gli urlo dietro.
Mi rivolge un bel dito medio.
Ridacchio, poi mi strozzo. «Che male!» strillo.
«Mi spieghi che sta succedendo tra te e mio figlio?» domanda scioccato Danny.
«Vogliamo saperlo davvero?» Tom guarda il cognato.
«Sì, senza dubbio.»
«Beh,» prendo parola. «È un peccato allora che non lo sappia nemmeno io» sfoggio un sorriso a trentadue denti. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now