41.

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Stringo le mani sul bordo della cassettiera con talmente tanta forza da avere le nocche bianche. Il suo peso, il suo fiato sul collo, le sue mani, sono le uniche che riesco a percepire a parte la tempesta al di fuori di questa stanza che non ho nemmeno avuto il tempo di ammirare. Aperta la porta sono stata trascinata da Devon al centro della stanza, spinta sulla cassettiera e fatta girare così da potermi ammirare allo specchio mentre mi spogliava. Non ho idea di quanto tempo sia passato da quando ha iniziato a mordere e succhiare il mio collo, le spalle, le scapole... so soltanto che i suoi movimenti si fanno sempre più scattanti, desiderosi di avere ogni brandello di me. Continuo a ripetermi che è solo sesso, che il mio corpo risponde al suo con tale intensità da mandarmi su di giri solo perché è in forma, ma la verità è un'altra e io non sono ancora in grado di affrontarla.
Allungo una mano, stringendola attorno alla sua nuca mentre chino il viso all'indietro per poterlo baciare. Ho bisogno di sentire la sua bocca sulla mia, di avere il contatto più intimo di tutti. Devon mi trascina su di sé, come se non fossi vicina abbastanza, eppure, non c'è un centimetro di distanza tra i nostri corpi. Mi scosto, girandomi. Il moro mi guarda confuso, ma non appena mi avvicino e mi riapproprio delle sue labbra torna a stringermi e a farsi strada dentro di me con una singola spinta. Chiudo gli occhi e rilascio un ansito, piena di lui e di tutto quello che in un mese e mezzo è riuscito a donarmi.
Forse sono io la sciocca, forse sto mal interpretando questo legame fragile che si è formato ma al momento non riesco a pensare ad altro che a questo. Non riesco a dirlo ad alta voce, a volte mi rifiuto persino di pensarlo ma... inizio a credere che l'idea di innamorarmi di lui non sia poi così distante dalla realtà dei fatti. So bene che negherebbe ogni cosa se gli facessi notare tutto quello che ha fatto per me, troverebbe una scusa per tutto. Però, io nel profondo lo so che quelle cose le ha fatte, lo so che almeno un pizzico deve tenerci a questa povera scema che a una relazione non ci pensava neanche per sbaglio e poi è caduta nella rete di Devon Bradshaw con una semplicità disarmante. La verità è che non me ne sono nemmeno accorta. Un minuto prima stiamo andando a letto insieme per saziare l'attrazione sessuale, quello dopo mi ritrovo invischiata in una tela di sentimenti che ho paura di esternare a me stessa, figuriamoci a lui. Sono nei guai, guai grossissimi.
«Sei con me?» mormora accanto al mio orecchio.
Stringo le gambe attorno alla sua vita con più forza, premo il petto al suo e annuisco. «Sono distrutta» bisbiglio sulle sue labbra.
Le sue spinte rallentano, diventano pigre ma precise. Sfiora la mia pelle facendo scivolare la mano alla base della schiena dove la lascia. Cattura la mia bocca nell'ennesimo bacio, mordicchiando il labbro inferiore nello stesso momento in cui una saetta di grandi dimensioni illumina la stanza per un secondo. Scorgo i suoi occhi, grigi come il cielo di stamattina, e il cuore perde un battito. Devo essere pazza, la connessione che abbiamo la sto immaginando, non c'è spiegazione. Ma come fa? Come fa a guardarmi in quel modo così intenso, colmo di qualcosa e a non provare nulla?
«Stai per venire» mi avvisa.
Annuisco, persa. La sua mano si intrufola tra i nostri corpi, il mio si tende quando una scarica di piacere mi pervade da cima a fondo. Mi accascio su di lui poco dopo, mentre mi godo il suo viso attraversato dal godimento. È pura favola. Non ho mai visto niente di più bello. Mai vissuto niente di meglio di questo singolo preciso istante.
«Sono in paradiso?» biascico stravolta dalla nostra attività e soprattutto dai miei pensieri. Avevo fatto il possibile per non pensarci e adesso... ho aperto la diga. Magnifico.
«No», accenna una risata scostandosi di poco.
«No», mi lagno stringendo la presa attorno al suo corpo. Se mi lasciasse andare molto probabilmente cadrei. E io non voglio cedere, non voglio farmi male.
Devon mi solleva come fossi un peso piuma e mi trascina sul letto. «Sei appiccicosa stasera» mi fa notare.
«Ho sonno, sta zitto» borbotto l'attimo prima di sbadigliare.
«Lo vedo» scuote il capo mentre scosta le coperte.
«Hold up, hold onnnn.... Don't be scaredd» canticchio.
«Stai... stai cantando gli Oasis?» mi domanda Devon dopo un attimo di silenzio.
«Stop crying your heart outttt.... Get upp. No, non voglio alzarmi, ho sonno» sbuffo sprofondando con la testa nel cuscino.
«Avery» il suo petto viene scosso da una risata, riesco a percepirlo perché la mia mano è vicina al suo addome.
«Scusa, quando ho molto sonno canto.»
«A me è sembrato più un lamento di un cane che sta passando le pene dell'inferno.»
«Ehi!» lo spintono con assolutamente nessuna forza. «Non è carino» sbadiglio.
«Dimmi come conosci gli Oasis e ti lascio dormire» punzecchia il mio fianco con l'indice.
«Sei mesi fa ho avuto una crisi, mi sono rifugiata in un bar e alla radio c'era Live Forever. Mi è piaciuta e ho chiesto chi fosse a cantarla. Il barista mi ha fulminata con lo sguardo ma mi ha risposto. Arrivata a casa ho cercato Oasis su Spotify e ho trovato una playlist con tutte le loro hit. Ho pianto sulle note di Stand by Me» accenno una risata stanca.
«Che genere di crisi?» domanda, come se non avesse ascoltato il resto di quello che ho detto.
«Non lo so» sbadiglio sonoramente. «Una di quelle in cui ti senti sola e non sai cosa farne della tua vita, suppongo.»
«E hai avuto altre crisi di questo tipo nell'ultimo periodo?» domanda.
«Non crisi, no» sussurro, gli occhi chiusi visto che non riesco davvero più a tenerli aperti.
«Allora cosa?»
Perché vuole intrattenere una conversazione adesso che non capisco un quarto di quello che sto dicendo? Sbadiglio, tirando le coperte sulle spalle. «Pensieri... non ho praticamente più una famiglia» ridacchio. «Ma forse è meglio, no? Che te ne fai di una madre che quasi ti strangola e di un padre che ti esclude dal testamento? Niente» ennesimo sbadiglio.
«Avery, cosa...»
La sua voce mi arriva sempre più lontana, poi il silenzio e io posso finalmente riposare dopo una lunga settimana infernale.

Quando apro gli occhi e mi metto seduta sul letto la prima cosa che sento è il canto degli uccellini. Eh? Nevicava fino a qualche fuori e ora ci sono gli uccelli che cantano? Scalcio le coperte, pentendomene subito dal momento che ricordo di essere nuda come un verme. Recupero i vestiti dal pavimento e li indosso. Farò una doccia rigenerante non appena torneremo a Boston. Beh, suppongo che almeno gli uccelli siano un buon segno per il ritorno.
«Sei sveglia.»
Sobbalzo, porto una mano sul petto e volto il capo in direzione della porta. Devon è già vestito, in mano tiene un vassoio con la colazione sopra. Scorgo due tazze e due brioche. Perfetto. Ieri sera abbiamo cenato al bar dell'hotel con due tramezzini insieme a Jeff e Harley, poi ci siamo diretti in camera e beh, non è stato difficile perdere le poche calorie che avevo messo su. Dio, ero distrutta.
Sbadiglio e lo raggiungo al piccolo tavolino presente in stanza. «Buongiorno. Notizie per la partenza?» mi siedo, strofinando l'occhio sinistro con una mano.
«L'autostrada è quasi del tutto libera, ci lavorano da questa mattina presto. Facciamo colazione e poi possiamo anche andare» spiega prendendo posto al mio fianco.
«Aspetta, che ore sono?» chiedo confusa.
«Quasi mezzogiorno. Ho cercato di svegliarti un paio di volte ma alla quinta ci ho rinunciato e ti ho lasciato dormire» addenta la brioche.
Mi fiondo sul caffè. Ho bisogno di svegliarmi. Il fatto è che il letto era così comodo. Come ha fatto lui ad alzarsi così presto quando poteva rimanere al calduccio sotto le coperte?
«Va bene, facciamo colazione e andiamo. Jeff e Harley?» chiedo per avere un aggiornamento.
«Partiti due orette fa» risponde prima di prendere un sorso del suo caffè bollente.
«Ah.»
Dopo aver concluso la colazione, calzo le scarpe, metto il cappotto e afferro la borsa. Sono certa che gli sposi siano nella loro suite e di sicuro non sarò io a spezzare il loro divertimento, perciò, filiamo dritto al parcheggio. L'aria gelida ci investe all'istante. Rabbrividisco e mi affretto a salire sul furgoncino. Devon si occupa dei riscaldamenti e poi mette in moto. Prendo il cellulare – che ieri sera ho spento per evitare di averlo super scarico – e rispondo ai messaggi di Vivienne rassicurandola e informandola che stiamo tornando.
Stiracchio le braccia e le gambe quanto mi è più possibile, poi mi stringo il cappotto al petto e rivolgo l'attenzione alla strada di fronte a me.
«Hai detto una cosa ieri. Mi chiedevo se ti andasse di darmi una spiegazione. Non sei obbligata, certo.»
Mi giro, guardandolo stranita. «Di che si tratta?»
«Hai... detto che tua madre ti ha quasi strangolata, Avery» risponde scioccandomi. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt